Puntuale anche quest’anno arriva una mia short list di libri da leggere quest’estate. Tre sono i miei suggerimenti per la bella e calda stagione 2025: un romanzo che racconta la vita di un quarantenne con un disturbo psichiatrico, un giallo sulla misteriosa scomparsa di uno scrittore (la cui matassa si sbroglierà attraverso la correzione di errori e refusi contenuti nel testo), un reportage per narrare il dolore di chi disperatamente è in cerca delle proprie origini biologiche.
Tre libri che diventano quell’ascia kafkiana «per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi»:
– Lo sbilico di Alcide Pierantozzi, Einaudi Supercoralli 2025.
Quello che abito è uno spazio ormai invalicabile alla genia umana, con una finestra che si è aperta in quella scuola, per merito di due insegnanti.
Tanto che il mio cervello, ancora oggi, lo si può valicare benissimo, perché non chiude bene: è una vecchia imposta sgangherata che lascia passare mille spifferi e filamenti di luce.
Un intimo, crudo e nudo scavo per narrare il disturbo bipolare, lo spettro dell’autismo, la dissociazione dell’io dell’autore, la sua verità spesso alterata dai farmaci e dai suoi scompensi emotivi. Un testo che evidenzia, senza fronzoli, l’equilibrio precario delle esistenze, la fragilità di un mondo (non solo interiore) in perenne mutamento, la riflessione necessaria e dolorosa di accettarsi per quello che si è, con tutte le nostre imperfezioni. Sullo sfondo, l’ossessione viscerale per la parola, quella che sorprende, che accusa, che spoglia, che svela ciò che appare “innominabile”.
In questa storia in cui nulla è inventato […] tornerò indietro con la cuspide acuminata della matita, e froderò il passato, lo fregherò attraverso il ludo stregato della scrittura. […] e della verità maledetta non resterà nemmeno una traccia.
– Bozze non corrette di Stefano Bartezzaghi e Pier Mauro Tamburini, Mondadori Collezione Gaia 2025.
Un giallo che sfida noi lettori a risolvere il mistero della morte del protagonista, lo scrittore Errante (di cui poco o nulla si sa), scovando i mille errori disseminati nel testo, a partire dalla fascetta che ne contiene ben due. Per la precisione si tratta di refusi (non di punteggiatura o sintassi), di errori fattuali, lessicali e grammaticali, vocaboli sbagliati, omissioni. Gli autori (l’enigmista italiano per eccellenza il Bartezzaghi, l’esperto di libri-gioco il Tamburini – noto anche con lo pseudonimo Leonardo Lupo -) ci invitano a decifrare questo messaggio segreto con pazienza, tenacia e divertimento.
Un aiutino viene concesso, agevolando chi vuol cimentarsi in questo rompicapo estivo, con una sezione denominata Correzioni posta alla fine del libro, pagine dove troviamo singole griglie per appuntare i dieci errori sparsi in ciascuno dei cento capitoli che compongono l’opera (brevi e di facile lettura).
Armata di matita e “fresca” di corso di formazione sul mestiere dell’editoria, mi ci sono buttata a capofitto. E ringrazio gli ideatori per la loro creatività, l’allenamento al colpo d’occhio e la possibilità di scoprirsi potenziali “correttori di bozze”!
– La strada di casa. Figli in cerca delle origini di Melania Petriello, Round Robin collana Fuorirotta 2025.
Un libro-inchiesta che dà voce e corpo a due facce di una stessa medaglia: il desiderio di ricercare le proprie origini biologiche (per lenire la sofferenza di quel tassello mancante utile ad incastrare tutti gli altri del puzzle della vita) da un lato, l’esercizio della libertà della donna di partorire in completo anonimato dall’altro. Nel guado, come sottolinea la giornalista e autrice tv, la legge dei “cento anni”, sentenze storiche, battaglie politiche e dilemmi morali.
È un testo che fa riflettere sulle inquietudini generate da crisi identitarie e vuoti emotivi, sull’inerzia del nostro Parlamento che tarda nel legiferare sulla questione.
Un volumetto che ti tira per la giacca, che è al contempo schiaffo improvviso e tenera carezza sulla guancia.
Mi sono chiesta, all’inizio di questo cammino, e ancora mi chiedo, come fossi nell’età delle cento domande, senza avere cento anni di tempo: cosa avrei fatto, al posto loro?
Gli stessi passi.
Anna, Tiziana, Emilia e tanti altri si interrogano sul perché dell’atavico abbandono. In ogni testimonianza narrata impera la stessa domanda: «Da dove vengo, chi sono?».
Non somigliare a nessuno, non possedere per emanazione alcuna sembianza delle persone che ci respirano accanto, quell’espressione, quel vezzo, quel movimento facciale inconsapevole, equivale a sentirsi naufraghi sulla terraferma.
Quel se che necessita di un accento acuto per riconoscere e plasmare il Sé che valorizza l’individuo nella sua interezza, per essere accettati e compresi, per non giudicarsi monchi, soli, “non abbastanza”. Ritratti in chiaroscuro delineati con cura, rispetto e piena consapevolezza di ciò che viene ascoltato e rivelato, grazie ad una prosa colta e raffinata, a tratti poetica.
«Di una cosa, sai, mi pento: negli anni in cui ero alla ricerca, e della ricerca si conosce solo il fine e mai la strada che fa da mezzo, sono stata una contestatrice. Ho smantellato tutto, fidanzato compreso. Ho sbagliato, ma ero arrabbiata».
Chissà se davvero gli arrabbiati hanno sempre ragione.
Un po’, forse.
Ma non esiste persona che, nel tempo, sia soltanto un vaso spaccato. Le crepe non riflettono la luce. E al buio non vuole viverci nessuno.
Quel “sono in cerca di te” è straziante, lo ammetto. E mi auguro che questa denuncia, condotta con rara delicatezza da parte della scrittrice Petriello, sia un punto di partenza per tutelare gli interessi di questi figli in cerca delle loro personali radici, perché nessuno possa più provare quella malevola sensazione di “sentirsi perso nel mondo”.
Come scrive Philip Roth in Pastorale americana (in esergo al saggio): «Non sei tenuto a venerare la tua famiglia, non sei tenuto a venerare il tuo paese, non sei tenuto a venerare il posto in cui vivi, ma devi sapere che li hai, devi sapere che sei parte di loro».