Il professor Massimo Pica Ciamarra è una figura di spicco nell’architettura contemporanea, particolarmente noto per il suo impegno nella riqualificazione urbanistica di Napoli con un forte orientamento alle tematiche ambientali ed eco-sostenibili. Laureatosi nel 1960, ha dedicato gran parte della sua carriera all’insegnamento universitario, ricoprendo il ruolo di libero docente in Progettazione Architettonica presso l’Università Federico II di Napoli.
Nel 1970 ha fondato lo Studio Pica Ciamarra Associati, che ha contribuito a importanti opere pubbliche e restauri di rilievo, tra cui il Palazzo di Giustizia di Napoli, la Reggia di Portici e la Città della Scienza a Bagnoli. Attualmente è impegnato in incarichi di prestigio internazionale, tra cui la presidenza dell’Observatoire International de l’Architecture di Parigi e la vicepresidenza dell’Istituto Nazionale di Architettura di Roma (INARCH), oltre a dirigere la rivista “Carré Bleu” di Parigi.
In un mondo in costante trasformazione, il rapporto tra architettura e società si evolve, richiedendo metodi innovativi per ripensare lo spazio. Ne parliamo con il professor Pica Ciamarra, che coniuga rigore scientifico e sensibilità umanistica, offrendo una nuova chiave di lettura per l’architettura contemporanea.
D. Professore, come è possibile riproporre oggi una nuova concezione di spazio, senza dimenticare la tradizione? Quale metodo scientifico può guidarci?
R. Le neuroscienze rappresentano oggi uno strumento essenziale per affrontare queste sfide complesse. Esse ci aiutano a comprendere come gli ambienti influenzino il nostro benessere psicofisico, la socialità e la percezione dello spazio. Un esempio concreto di questo approccio integrato è rappresentato dall’ISTAT, che da qualche anno affianca al tradizionale PIL l’indicatore BES – Benessere Equo e Sostenibile – dotato di parametri sempre più precisi e sofisticati.
Credo sia ormai superata la distinzione tra “architettura” ed “edilizia”. Oggi dobbiamo guardare alla qualità degli ambienti di vita nel loro complesso, che includono non solo ciò che è costruito, ma anche ciò che non lo è: spazi aperti, elementi naturali, materiali e immateriali. Questi elementi si completano e trasformano continuamente nel tempo, mentre l’architettura – intesa come opera finita – resta un oggetto da contemplare.
È questa qualità dinamica e complessa degli ambienti di vita che può generare benessere, sicurezza, socialità, spiritualità e persino felicità. Essa nasce dall’integrazione di elementi antichi e nuovi, in un equilibrio delicato e in continua evoluzione.
D. Quale ruolo scientifico e culturale può avere il “Maggio dell’Architettura” sul territorio, sia per i professionisti sia per la popolazione?
R. Il “Maggio dell’Architettura”, che si tiene da quasi vent’anni, è ormai un appuntamento fondamentale per promuovere una rete di interessi che unisce arte, poesia, filosofia, musica, paesaggi e molto altro. La trasformazione dei territori e degli ambienti di vita dipende dalla capacità delle comunità di desiderare e formulare buone domande.
Il “Maggio dell’Architettura” è uno strumento che contribuisce a questo processo, perché stabile, ricorrente e persistente. Grazie a questa continuità, sta influenzando profondamente le mutazioni culturali e mentali necessarie per affrontare le sfide del nostro tempo.
Con questa intervista, il professor Pica Ciamarra ci invita a riflettere sul valore di uno spazio che non è più solo costruzione, ma ambiente vivo, dinamico e profondamente connesso al benessere delle persone e delle comunità. Un invito a guardare al futuro con un approccio scientifico e culturale che non dimentichi le radici della tradizione, ma che sappia innovare per migliorare la qualità della nostra vita.