Particolarmente interessante è stata la terza giornata del “Maggio dell’Architettura”, prevista per venerdì 30 maggio dalle 17 presso il Castello d’Alagno (Somma Vesuviana). Il 30 è stata inaugurata la mostra «Architettura e progetti», a cura dello studio di architettura di Giuseppe Iodice e Francesco Iodice (studio IodiceArchitetti). La giornata, intitolata «Architettura e qualità degli ambienti di vita», ha previsto i saluti istituzionali di Rossella Auriemma, Pasquale Piccolo e Salvatore Di Sarno. Successivamente, sotto la moderazione di Antonio Coppola e con l’introduzione di Antonio Ciniglio, hanno preso parte a una tavola rotonda sul tema Marella Santangelo, Carlo De Luca, Massimo Pica Ciamarra, Maurizio Di Stefano, Massimiliano Rendina, Federica Visconti, Francesco Isidori, con le conclusioni affidate a Bruno Discepolo.
Prof. Pica Ciamarra, quale può essere il contributo scientifico di queste giornate del “Maggio dell’Architettura”?
«Il tema attuale è quello di pensare soprattutto allo spazio pubblico, alle relazioni delle cose, con i paesaggi, con gli elementi materiali, immateriali, per cui ogni edificio, ogni elemento, ogni frammento che ci si trova casualmente a progettare, deve contribuire a creare città e paesaggi, città nel senso di aggregazione, di civitas, mentre paesaggio nell’accezione della cultura europea secondo la quale il paesaggio non è contemplazione di elementi ma la vita dell’uomo. Occorre rintracciare quel rapporto tra lo spazio e i comportamenti umani. Un tema che, secondo me, occorre ragionare».
Arch. Carlo De Luca, è d’accordo?
«Concordo con il prof. Pica Ciamarra. Aggiungo che oggi vi è un’istanza collettiva, cioè la necessità che gli architetti ascoltino le istanze della comunità, che partecipino a quelle che sono le domande delle persone e quindi il progetto è la risposta a un bisogno collettivo. Per questo, quando parliamo di architettura, parliamo di qualità degli ambienti di vita, perché rispondiamo a una domanda precisa delle comunità in termini di qualità e di miglioramento della vita delle persone».
Come mai, secondo voi, oggi l’estetica prevale sul bisogno stesso?
Pica Ciamarra: «Questa considerazione non è condivisa da tutti; noi ci battiamo da tempo, in qualche modo, per evitare questa distinzione che io considero aristocratica fra ciò che è architettura e ciò che sono gli edifici e l’edilizia corrente. Noi dobbiamo pensare che tutti gli elementi collaborano alla definizione dello spazio e dunque il problema è mettere insieme questi elementi e farli dialogare, rispondere, come si diceva prima, alle esigenze delle persone e capire questo aspetto. Occorre anche che la collettività domandi e sappia domandare. Oggi abbiamo un meccanismo sempre più perverso nel quale la collettività, la politica, prevarica ed esclude questi elementi in virtù di una presunta efficienza tecnica, mentre invece il problema del costruire è una situazione complessa che richiede ricerca e meditazione e poi velocità di realizzazione. Noi, invece, abbiamo tempi di progettazione sempre più contratti per motivi normativi e tempi dilatatissimi di realizzazione. Questo porta a far sì che la collettività creda meno nella capacità di trasformare, perché la velocità non è efficientismo, è etica. Se un cittadino sa che quello che si sta facendo e quello che si progetta fra due o tre anni è vero, potrà crederci. Se invece è una situazione che richiede trent’anni perché esista, sono indifferenti di fronte a questo processo. Magari se ne accorgono quando il processo è finito e lo criticano perché non è attuale e non risponde a quelle che sono le esigenze del momento».
De Luca: «Un’altra questione di cui noi dovremmo dibattere: la cultura del progetto è ritenuta sempre meno importante. Il progetto di architettura è come se fosse un dettaglio, una specie di incidente di percorso, non è mai al centro delle scelte della politica e delle comunità. Dobbiamo fare in modo che l’architettura non sia più un fatto eccezionale come accade in queste latitudini, ma che abbia sempre un posto di qualità. E la qualità architettonica (che è anche qualità estetica) deve tornare a essere elemento centrale. La consapevolezza di tutto questo deve appartenere all’intera comunità, a tutti i cittadini. E quando discutiamo di architettura, dobbiamo fare in modo di non discutere solo tra noi, ma di portare la qualità dell’architettura anche a un’opinione pubblica più allargata».