Chiara Gily: una voce tra Napoli e Trieste
Il 17 aprile scorso, Eboli ha ospitato la presentazione del nuovo romanzo di Chiara Gily, Aspettami al Caffè Napoli, edito da Mondadori. L’evento, organizzato dalla Libreria Giunti al Punto di Eboli, ha visto una grande partecipazione di pubblico e un coinvolgimento sentito. La serata è stata presentata dalla giornalista Maria Carmela Mandolfino presso il bistrot Patù, che ha dialogato con l’autrice, rendendo l’incontro ricco di spunti e riflessioni.
Chiara Gily è nata all’ombra del Vesuvio proprio il giorno di San Gennaro. Napoletana di origine e di cuore, vive a Trieste da diciotto anni. Dopo una breve parentesi milanese nel settore della pubblicità e delle pubbliche relazioni, si è trasferita a Trieste, dove lavora nel campo della contabilità per un ente pubblico. Di giorno si occupa di numeri, di sera scrive. È giornalista pubblicista e collabora con il mensile Cosmopolitan Italia, dove parla di economia e lavoro. Dal 2014 è blogger d’autore su Repubblica.it, raccontando le sue avventure da “espatriata” a Trieste. Ha pubblicato diversi libri, tra cui L’essenza dell’arancio amaro (Einaudi Ragazzi) e Napoli-Trieste solo andata (Cento Autori). Aspettami al Caffè Napoli è il suo primo romanzo pubblicato da Mondadori.
Intervista all’autrice
D- Cosa ti ha ispirata a scegliere Napoli come ambientazione principale del tuo romanzo?
Sicuramente le mie origini. Sono napoletana ma vivo a Trieste da diciotto anni e il modo più facile per tornare ad abitarci è ambientarci le mie storie.
D- Quanto della Napoli che racconti appartiene alla tua esperienza personale e quanto invece è frutto di ricerca o immaginazione?
Chi scrive non può non conoscere i luoghi in cui ambienta i suoi romanzi. Napoli, anche se oramai ci siamo salutate tanti anni fa, mi appartiene e apparterrà sempre. Nel romanzo non è solo una città, ma è una co-protagonista a tutti gli effetti. La storia di Caffè Napoli non si sarebbe potuta svolgere in nessun altro posto al mondo.
D- Lidia è una protagonista con molte sfumature emotive. Come hai lavorato alla costruzione del suo carattere?
Lidia mi è comparsa subito davanti, con le sue fragilità e il suo essersi rassegnata a una vita tutto sommato serena. Ho cercato di farle capire come uscire dall’acqua tiepida in cui si era accomodata e farle trovare il coraggio di tuffarsi in una sorgente nuova e gelata. All’inizio ha paura, poi però, quando riemerge pensa “ah, però!”.
D- Il rapporto tra Lidia e la sua famiglia emerge come uno dei fili più autentici della narrazione. Ti sei ispirata a esperienze personali o è tutto frutto di fantasia?
Tutto, assolutamente, di fantasia.
D- Il cambio di nome da Assunta ad Alice è un dettaglio molto curioso: come ti è venuta l’idea di legarlo al mondo di Alice nel Paese delle Meraviglie?
A Napoli è molto sentita l’usanza di dare il nome dei nonni ai nipoti e spesso certi (poveri!!) bambini si trovano dei nomi terribili. Alice si ribella, e da subito fa capire di essere uno spirito libero.
D- Nel romanzo si percepisce spesso una sensazione di “estraneità” da parte della protagonista nei confronti dell’ambiente che la circonda. È un sentimento che volevi mettere in evidenza fin dall’inizio?
Sì, da subito. Lidia si sente estranea alle dinamiche familiari in cui è cresciuta, è per questo che va via da Napoli e ci torna mal volentieri per il matrimonio della cugina. Arriva sempre, però, il momento di fare i conti con quello che ci si è lasciati alle spalle.
D- Ti è mai capitato, durante la stesura, di pensare di osare di più nella trama o nella caratterizzazione dei personaggi?
Quando si scrive, è normale riscrivere. È forse la parte più difficile, in cui escono fuori eventuali buchi di trama o personaggi non “risolti”. Le revisioni servono proprio a fare i conti con la storia!
D- C’è un momento o un capitolo del libro a cui sei particolarmente legata? Se sì, quale e perché?
Sono legata a ogni singola parola di Caffè Napoli. Forse la parte in cui Lidia ha un confronto acceso con la madre mi ha toccato moltissimo, sia quando l’ho scritto che riletto. I rapporti familiari sono sempre un terreno minato.
D- Se potessi riscrivere una parte del romanzo oggi, a distanza di tempo, cambieresti qualcosa?
Nessuna!
D- Stai già lavorando a un nuovo progetto editoriale? Se sì, puoi darci qualche anticipazione?
Io scrivo sempre. Non potrei immaginare la mia vita senza un quaderno o il pc acceso nel mio studio, a casa, dove mi rifugio e immagino storie e vite e sentimenti da raccontare.
Recensione
“Aspettami al caffè Napoli” di Chiara Gily è una lettura piacevole, una sorta di fiaba moderna ambientata nella sempre affascinante cornice partenopea. Negli ultimi anni Napoli è stata spesso scelta come musa ispiratrice da molti autori, e anche in questo caso fa da sfondo alla storia, seppur in maniera un po’ sfumata. Di Napoli, infatti, percepiamo solo alcuni scorci, modi di dire, frammenti di conversazioni, come se osservassimo una cartolina. A volte sembra quasi che l’autrice abbia voluto mantenere una certa distanza, forse per evitare di incorrere in giudizi severi legati al politically correct.
“Non me la ricordavo così bella, Napoli Centrale. Tutta rinnovata, quasi avveniristica, sicuramente accarezzata dal tocco di un team di archistar internazionali. Nonostante il restyling, però, rimane sempre fedele a se stessa. Perché a non essere cambiata è la gente che la abita.”
I personaggi sono costruiti in modo semplice, e talvolta risultano un po’ bidimensionali. Anche la protagonista, pur avendo tratti realistici – come l’insicurezza, la gelosia, la disillusione – tende a rimanere intrappolata in questi aspetti senza mostrare un’evoluzione particolarmente incisiva.
“Ma, soprattutto, Alice è riuscita ad aggirare la rigidissima legge napoletana della supponta, che stabilisce che il nome dei nonni venga dato ai nipoti, in particolare ai primogeniti. All’anagrafe è Assunta, come la madre di zia Pucci, ma già dall’asilo ha preteso che tutti la chiamassimo Alice. Mio zio si è più volte maledetto per averle regalato e letto, per farla addormentare, il romanzo di Lewis Carroll. A sua figlia il desiderio del cambio nome era venuto perché voleva vivere anche lei nel Paese delle Meraviglie. Peccato che invece abitasse a Napoli.“
Nel complesso, “Aspettami al caffè Napoli” si presenta come una storia leggera, ideale per una pausa di relax o per stemperare la mente dopo letture più impegnative (nel mio caso “Il racconto dell’ancella” e “Notti Bianche”). Nonostante la scrittura scorra con semplicità, personalmente ho avvertito la mancanza di spunti di riflessione più profondi e l’impressione che l’autrice avrebbe potuto osare di più, andando oltre il limite di una narrazione a volte un po’ trattenuta.
“La cosa che risalta agli occhi, anche a una disincantata come me, è quanto siano amati dai loro amici. L’affetto che circola stasera in questo parco è incredibile, palpabile. Per me, invece, è assordante. Perché non sono abituata alle effusioni e alle dimostrazioni plateali. Mi sento un’estranea. E mi viene da pensare che al mio fantomatico matrimonio non mancheranno solo le damigelle. Io, un’atmosfera così felice, non me la posso neppure lontanamente sognare.“
Alcuni momenti, soprattutto quelli legati al rapporto con i genitori e in particolare con il padre, toccano corde emotive più intense e sincere. Tuttavia, nel suo insieme, la storia mi è sembrata un racconto lieve, che scorre senza lasciare un segno profondo. L’intreccio si conclude con un colpo di scena finale che, pur cercando di dare una chiusura al percorso narrativo, appare un po’ affrettato. Consiglio questo libro a chi ha voglia di una lettura leggera e senza pretese, perfetta per staccare la mente, immergendosi in una storia delicata e quotidiana, capace di regalare qualche sorriso e una carezza lieve al cuore.