Ceramista per più di un ventennio, Maria Rosaria Amato ha proposto monografiche presso il Museo Città Creativa, e una di queste indagava e riproduceva i personaggi delle favole, come il Piccolo Principe e altri racconti famosi. Le sue immagini, disegnate e smaltate, avevano già un’ispirazione narrativa: assomigliavano a personaggi del passato, con qualche reminiscenza di Irene Kowaliska. Una sorta di disegno fluido ed essenziale di uomini e donne semplici, quasi un naïf.
Attualmente, Maria Rosaria è approdata alla scrittura: ha già pubblicato tre libri di poesie che hanno riscosso notevole successo. L’opera Piccole storie proverbiali, che presenta alla Imagines Book venerdì 23 maggio alle 18.30, con il commento critico di Domenico Notari (presente anche nella prefazione), attinge alla tradizione e alla saggezza popolare. Si incentra sui proverbi campani, questa vasta gamma di detti popolari provenienti da una tradizione prevalentemente orale, che sono patrimonio di tutte le culture, con molte similitudini fra loro.
La Amato ha voluto perpetuare la verbalità orale con la scrittura, per rendere immortali questi brevi detti popolari e imprimerli icasticamente nella memoria di tutti. Queste storie brevi, da non confondere con le favole (che hanno una struttura molto più complessa e fantastica, anche se anch’esse sfociano nella morale), sono state teatralizzate, rese sceniche: i personaggi, abbastanza realistici, appartengono ad epoche e contesti passati. Sembra quasi di vederli agire su un palcoscenico.
Hanno una loro tipicità e vogliono evidenziare tipologie ricorrenti dell’umanità: lo sciocco, la pettegola, il bello, la mamma severa di mazze e panelle, la monaca irriverente, il tirchio maschilista, il traditore tradito («il bue chiama cornuto l’asino»). La struttura di ogni storia si ripete: ha un protagonista, o una protagonista, intorno a cui si sviluppa una breve situazione di vita, e si ritorna al detto popolare che diventa un insegnamento, un suggerimento, una piccola morale da trasmettere ai lettori.
La qualità del proverbio è, infatti, proprio la sua immancabile etica, sviluppatasi sulle esperienze di vita, che va ad arricchire il repertorio della tradizione e della saggezza popolare.
Ma oltre alla teatralizzazione, vi è in queste brevi storie-flash una sorta di intento satirico che va oltre l’ironia: arriva quasi a un amaro sarcasmo, che si serve di osservazioni beffarde. Oltre ad avere un occhio bonario, e quindi un’ironia pacata su questa varia umanità con i suoi pregi e difetti, la scrittrice diventa intollerante e meno bonaria, arrivando allo sferzante scherno nei confronti dei potenti e del diffuso maschilismo imperante, che sottolinea come ancora tristemente attuale. Così come i meccanismi di sopraffazione del potere non possono dirsi cambiati.