“Un padre è colui che genera un figlio e se ne rende degno.”
Con queste parole, Dostoevskij racchiude il mistero e la responsabilità della paternità, quella figura che — come ricordava Freud — rappresenta “il primo eroe” nella vita di ogni individuo.
Un legame che attraversa la storia, la cultura e la memoria personale, e che il regista e attore Gino Auriuso ha scelto di esplorare con il suo nuovo spettacolo “Di padre ce n’è uno solo?”, un titolo che suona come una provocazione ma che cela una riflessione profonda e universale.
Sul palco del Teatro Salakeis di Pioppi, Auriuso è affiancato da due interpreti di grande esperienza, Stefano Sarcinelli e Ivano Falco. Insieme danno vita a un trittico scenico di straordinaria complicità, dove la parola si intreccia con la memoria e il sorriso diventa la chiave per affrontare anche le pieghe più complesse del rapporto padre-figlio.
Lo spettacolo procede come un viaggio sentimentale e culturale, disseminato di citazioni e rimandi colti — da Omero a Pirandello, da Michelangelo a Pasolini — che offrono al pubblico un mosaico di immagini e suggestioni sul concetto di paternità nelle sue molteplici declinazioni: biologica, affettiva, simbolica.
La regia, calibrata e mai invadente, lascia spazio ai monologhi, autentiche finestre aperte su universi interiori diversi ma accomunati da una sottile malinconia e da una lucida ironia. Gli attori si muovono con misura e sensibilità, costruendo una galleria di “papà” che oscillano tra il tenero e il grottesco, tra la fragilità umana e la grandezza del sentimento.
Non mancano spunti di riflessione sulla società contemporanea, dove la tecnologia sembra spesso sostituire il dialogo e la presenza reale. In questo senso, “Di padre ce n’è uno solo?” diventa anche una denuncia garbata della disumanizzazione dei rapporti, restituendo valore alla parola, al gesto, all’ascolto reciproco.
Un momento particolarmente suggestivo arriva quando il pubblico è invitato a partecipare attivamente scrivendo su un foglio un aggettivo per descrivere il proprio padre, reale o immaginario. “Li utilizzeremo ad ogni spettacolo,” spiega Auriuso, trasformando la scena in un laboratorio emotivo condiviso, un filo rosso che unisce le serate e le persone.
L’esito è un dialogo corale che emoziona e diverte, dove si ride di gusto ma ci si riconosce, anche solo per un istante, in quelle figure paterne tanto imperfette quanto indispensabili.
Il finale, accolto da un lungo applauso, è la conferma di una verità semplice e profonda: riflettere sull’amore — e sui suoi molteplici significati — è un esercizio che fa bene al cuore e alla coscienza.
Tre attori, tre padri per una sera, ma soprattutto tre uomini che ci ricordano quanto sia importante “rendersi degni” di quel titolo.