I condannati erano già saliti sul patibolo per essere giustiziati quando un corriere dello zar arrivò a briglia sciolta con la concessione della grazia. Fra i condannati c’era il giovane Fëdor Dostoevskij: faceva parte di un gruppo di intellettuali che avevano abbracciato la dottrina socialista del filosofo francese Fourier. E la polizia zarista li guardava con sospetto, con l’orecchio teso all’ondata rivoluzionaria che nel 1848 dilagava in Europa.
A Dostoevskij la pena capitale venne commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Questa condanna spezzò in due la vita dello scrittore, che aveva raggiunto di colpo la fama con uno dei primi racconti pubblicati: Povera gente. Il Dostoevskij della prima giovinezza è soltanto un narratore straordinariamente dotato, il creatore di Krotkaja e di Netoscka Nesvanova, che rivela fin da allora la sua eccezionale, unica capacità di penetrare nel cuore e nella mente degli “altri”, specie se si tratta di nature tormentate.
Gli anni della Siberia, invece, lo mettono a contatto con una specie di uomini che ancora non conosceva: colpevoli o innocenti ma condannati e sofferenti, che la società aveva ricacciato ai margini. Ed ecco così le Memorie dal sottosuolo, l’opera che è una sorta di spartiacque nella biografia letteraria di Dostoevskij, insieme con le Memorie da una casa di morti. Il delitto, per Dostoevskij, è una sventura, una tragedia, e il colpevole è sempre un infelice: da lì nascono i problemi che lo tormentano e che formeranno il tema di tutta la sua narrativa, nella quale egli pone e tenta di risolvere i problemi dell’esistenza, a cominciare da quello dell’esistenza di Dio.
“Artista del Caos” è stato definito Dostoevskij, perché tutti i suoi personaggi si presentano con il carattere dell’eccezionalità. Egli vuole vedere l’uomo dal di dentro, e vuole affermare l’autonomia, la libertà assoluta della volontà, per cui ognuno obbedisce a una propria legge che lo giustifica anche quando la legge comune lo condannerebbe.
Raskol’nikov, il suo più rappresentativo “eroe”, commette in Delitto e castigo un delitto inutile, soltanto per affermare la netta distinzione fra uomini comuni e uomini “eletti”. Tutto ciò che è peccato, vizio, umiliazione, sofferenza costituisce la negazione della morale comune, e chiede il riconoscimento della dignità umana. Questo tormento ideologico di dolore e di pena, quest’angoscia, condizionano tutta la sua opera.
Enormi sono le sue capacità di afferrare i caratteri nei punti cruciali della vita: ed ecco che egli non li pone in astratto, ma li trasforma in azione, li incarna in personaggi, li pone in concrete situazioni.
Fëdor Michajlovič Dostoevskij nasce a Mosca il 30 ottobre 1821 (11 novembre del calendario gregoriano), secondogenito di Michail Andreevič, eccellente medico, e di Marija Fëdorovna Nečaeva. Il padre, contro il desiderio del figlio, che amava solo la letteratura, aveva deciso di iscriverlo alla Scuola superiore del Genio militare di Pietroburgo: era il 1838. Fëdor studiò assiduamente per sei anni, fu promosso sottotenente, ma furono anni di sofferenza: anni sprecati.
Il fuggiasco della Scuola del Genio non aveva niente in comune con gli scrittori russi suoi contemporanei. Melanconico e nevrastenico, soffriva di depressione, immaginava di essere malato. Era prigioniero di un’ossessione: quella di cadere in un sonno letargico e venire sepolto vivo.
Abituale frequentatore dei salotti di Pietroburgo, riuscì a vincere la sua timidezza, si impegnava nelle dispute e si intestardiva a contraddire. Non nascondeva il suo amor proprio di scrittore e l’alta opinione che aveva di sé; forse non era vanitoso, ma solo cosciente del proprio talento, in un ambiente che non lo comprendeva e non lo riconosceva.
Nel 1842, quando Gogol pubblicò Le anime morte, Dostoevskij rimase affascinato da quel meraviglioso romanzo. Lo imitò, lo trasformò e, in pochi anni, nacquero Povera gente, Il sosia, La moglie altrui e altre farse geniali.
Nel Diario di uno scrittore, disse che l’idea della doppia personalità era “grave e luminosa”: l’avrebbe inseguita per tutta la vita, dalle Memorie dal sottosuolo fino a I fratelli Karamazov. Nella sua mente il vero e il falso, il reale e il fantastico, l’illusione e la sostanza si identificavano follemente.
Cominciò a giocare, in modo sempre più vertiginoso, soggiogato. Tra i tanti desideri predominava la voglia di liberarsi dalla monotonia quotidiana, di conoscere sensazioni sempre più intense e febbrili, di provare una specie di vertigine erotica, andando fino all’ultimo limite per poi precipitare nell’abisso e conoscere l’umiliazione e la degradazione.
Forse, la roulette era la sola immagine possibile di quel grandioso gioco d’azzardo che, per lui, era la letteratura.
Incalzato dai creditori, nel 1865 Dostoevskij “fugge” all’estero, dopo aver firmato un contratto capestro con l’editore Stellovskij. Durante il viaggio comincia a lavorare a Delitto e castigo e lo pubblica a puntate mentre è ancora in corso di stesura. Intanto l’impegno con l’editore sta per scadere: se non riceverà il romanzo promesso, l’editore potrà pubblicare tutte le sue opere future senza pagare alcun compenso.
Un amico gli consiglia di ricorrere a una stenografa. Dal 4 al 29 ottobre 1866 Dostoevskij detta ad Anna Snitkina Il giocatore e il 1° novembre lo consegna puntualmente. Pochi mesi dopo (febbraio 1867) lo scrittore sposa a Pietroburgo la sua stenografa, che ha vent’anni meno di lui. Anna sarà una compagna amorosa e una preziosa collaboratrice.
Dopo un lungo viaggio in Europa, durato più di quattro anni (visiterà anche Milano e Firenze), lo scrittore è travolto a più riprese dalla passione per il gioco, e più di una volta si riduce letteralmente alla fame. Ma sono anni straordinariamente fecondi.
Negli ultimi mesi del 1867 Dostoevskij inizia L’idiota (che terminerà a Firenze nella primavera del 1869), nei due anni successivi scrive L’eterno marito e I demoni. Rientrato in Russia, frequenta ambienti governativi e vicini alla corte. Dal 1873 al 1877 scrive Diario di uno scrittore, L’adolescente e I fratelli Karamazov, che esce a puntate dal gennaio 1879.
Nel giugno 1880 Dostoevskij (dal dicembre 1877 membro dell’Accademia delle Scienze) legge il discorso in onore di Puškin durante le celebrazioni per il centenario della sua nascita. In dicembre escono in volume I fratelli Karamazov.
Dostoevskij muore per enfisema polmonare la sera del 28 gennaio 1881. La roulette aveva fatto il suo ultimo giro. Al funerale partecipano oltre trentamila persone. Nessuno, in Russia, aveva mai visto un simile funerale.
Dostoevskij, uno dei più grandi scrittori di ogni tempo, schiavo della penna e inesorabilmente attratto dalla vertigine del gioco, veniva abbracciato da quella pace e da quel silenzio che forse aveva vanamente cercato nella sua vita tumultuosa.