Viviamo in un’epoca in cui il cinema non è più soltanto in sala. Netflix, Prime Video, Disney+, Paramount+ non sono più solo nomi commerciali, ma veri e propri luoghi digitali in cui rifugiarsi, emozionarsi, scoprire.
A confermare questo radicale cambiamento di paradigma è il dott. Giovanni Calvo, studente del corso di laurea magistrale in Cinema e Media presso l’Università degli Studi di Torino, appassionato di cinema, scrittura e cultura. Collaboratore attivo della piattaforma Streeen.org, con lui abbiamo approfondito come e perché il mondo dei giovani si sia spostato dallo schermo televisivo allo streaming on demand.
Dottor Calvo, partiamo da una constatazione ormai evidente: i giovani preferiscono lo streaming alla TV tradizionale. Ma perché questo cambiamento è così radicale?
Il motivo è duplice. Da un lato, lo streaming offre un’offerta personalizzata: non ci sono palinsesti fissi, ma contenuti selezionati in base ai gusti personali, agli interessi, alle ricerche precedenti. Dall’altro lato, le piattaforme hanno saputo adattarsi a un pubblico più esigente in termini di flessibilità: si può vedere ciò che si vuole, quando si vuole e dove si vuole. Una libertà che la televisione generalista, per sua natura, non riesce a garantire.
Quanto influisce, secondo lei, il calo della soglia di attenzione nei giovani su queste nuove abitudini?
Influisce moltissimo. Una ricerca del 2022 di Team Lewis ha mostrato che circa la metà dei giovani italiani della Generazione Z preferisce video brevi e immediati. Questo spiega l’enorme successo di TikTok, che ha cambiato il modo di comunicare e consumare contenuti: tutto deve essere rapido, diretto, e visivamente accattivante. Lo stesso meccanismo si è trasferito su serie TV, miniserie e format seriali in streaming.
Anche il cinema ne risente?
Sì, eccome. Sempre più giovani preferiscono le serie TV ai film. Il “Rapporto Giovani” dell’Istituto Toniolo rivela che tra i 20 e i 34 anni il 35,4% preferisce le serie TV, contro il 30% che sceglie i film. Le serie sono più “digeribili”, offrono uno schema narrativo diluito, spesso appagante e meno impegnativo, con episodi da 20 o 40 minuti. È una forma di consumo che si adatta perfettamente al tempo libero dei giovani, spesso frenetico o frammentato.
C’è speranza per un ritorno a un cinema più riflessivo?
Sì, e questo è il segnale più bello. Alcuni film recenti hanno avuto un impatto importante proprio perché hanno proposto un ritmo più lento, più umano, più contemplativo. Penso a Perfect Days di Wim Wenders o a Past Lives di Celine Song. Sono opere che ci riportano alla bellezza della lentezza, del silenzio, dell’attesa. Forse, in fondo, dopo tanto rumore visivo, molti spettatori iniziano a cercare qualcosa di più autentico.
Credo che il cinema non morirà, ma dovrà continuare a trasformarsi. I giovani sono alla ricerca di esperienze, non solo di contenuti. La sfida sarà coniugare qualità narrativa, profondità e nuovi linguaggi. Il grande schermo può ancora stupire, ma dovrà parlare una lingua nuova, senza rinunciare alla propria anima.
Quale sarà la prossima scena?
Cambiano i supporti, le piattaforme, gli schermi. Ma la potenza di una storia – quella che emoziona e resta – non dipende dal mezzo, ma dalla capacità di dire qualcosa di vero. Per i giovani, il cinema può ancora rappresentare un luogo di scoperta, di riflessione, di significato. Resta da capire se l’industria saprà intercettare queste esigenze senza perdersi nell’effimero.