Gerusalemme/Gaza – Alle prime luci dell’alba del 7 ottobre 2023, Hamas ha dato inizio a un’offensiva su larga scala contro Israele, annunciando l’“Operazione Diluvio al-Aqsa” tramite un messaggio del comandante Mohammed Deif. L’attacco, improvviso e coordinato, ha avuto un impatto devastante: Israele ha assistito all’infiltrazione di centinaia di miliziani, al lancio di migliaia di razzi e a massacri di civili in varie località al confine con la Striscia di Gaza.
Missili e infiltrazioni via terra, mare e cielo
Intorno alle 6:30 del mattino (UTC+3), Hamas ha dato il via all’operazione con un massiccio lancio di razzi: secondo le autorità israeliane, almeno 2.500 missili sono stati lanciati da Gaza, provocando la morte di cinque persone e colpendo diverse città tra cui Ashqelon, Tel Aviv, Herzliya, Gedera e Gerusalemme. Le sirene d’allarme hanno risuonato in numerose aree, comprese basi militari strategiche come Palmachim.
Parallelamente, circa 2.500 miliziani palestinesi hanno attraversato il confine utilizzando mezzi motorizzati, bulldozer, motoscafi, parapendii e deltaplani, riuscendo a forzare le difese israeliane in almeno cinque punti. Sono stati conquistati valichi di frontiera come Erez e Kerem Shalom, e abbattute torri di guardia con l’uso di droni armati. Un carro armato israeliano è stato distrutto e il suo equipaggio catturato.
Massacri nei kibbutz: Kfar Aza, Be’eri e Netiv HaAsara
Tra i momenti più drammatici, l’assalto al kibbutz Kfar Aza: circa 70 uomini armati di Hamas hanno attaccato il villaggio da più direzioni. I residenti, colti di sorpresa, hanno tentato una difesa disperata ma sono stati sopraffatti. Oltre 200 civili, tra cui molti bambini, sono stati uccisi brutalmente, casa per casa. Scene simili si sono ripetute a Be’eri, dove sono morte 108 persone, e a Netiv HaAsara, con 15 vittime. Questi episodi sono stati definiti dai media israeliani e internazionali come “il peggior massacro di ebrei in un solo giorno dall’Olocausto.”
L’assalto al festival musicale di Re’im
Uno degli episodi più scioccanti è stato l’attacco al festival musicale Nova nei pressi di Re’im. Militanti di Hamas sono atterrati con deltaplani tra i partecipanti, circa 3.000 giovani, aprendo il fuoco sulla folla. Oltre 260 persone sono state uccise, molte altre prese in ostaggio e portate nella Striscia di Gaza.
Assalti a basi militari e stazioni di polizia
I combattenti palestinesi sono riusciti a conquistare varie installazioni militari. Alla base di Re’im, l’attacco ha portato alla sua temporanea caduta dopo ore di combattimento. A Zikim, un commando palestinese ha effettuato un attacco anfibio, riuscendo a conquistare una base vicina a Nahal Oz. A Sderot, i miliziani hanno preso d’assalto la stazione di polizia, uccidendo 30 agenti.
Supporto da altri gruppi armati palestinesi
Numerose fazioni armate palestinesi hanno appoggiato l’operazione. Le Brigate della Resistenza Nazionale (braccio armato del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina) hanno confermato la propria partecipazione, così come le Brigate Abu Ali Mustafa (Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) e il gruppo militante Fossa dei Leoni. Tutti hanno annunciato la mobilitazione generale.
Polemiche sul ruolo dell’IDF nei combattimenti
Il bilancio tragico dell’attacco si è accompagnato anche a polemiche interne. Secondo alcune testimonianze riportate da The Electronic Intifada e dal quotidiano israeliano Haaretz, parte delle vittime civili nel kibbutz di Be’eri potrebbe essere stata causata dal fuoco amico dell’esercito israeliano, che avrebbe aperto il fuoco con carri armati sugli edifici in cui si trovavano anche civili, nel tentativo di eliminare i miliziani di Hamas. Secondo fonti militari israeliane, i comandanti “non potevano sapere se gli ostaggi fossero vivi o già uccisi”.
Uno shock per Israele, un’escalation per la regione
L’attacco del 7 ottobre è stato definito da molti come un “11 settembre per Israele”, sia per il livello di sorpresa sia per il numero di vittime. La rapidità dell’infiltrazione, l’assenza di allerta da parte del Mossad o dell’IDF e l’elevato numero di ostaggi e morti hanno segnato un punto di svolta nel conflitto israelo-palestinese. In risposta, Israele ha dichiarato formalmente guerra, dando inizio alla Guerra di Gaza 2023, ancora in corso.
L’attacco lanciato all’alba del 7 ottobre, che ha colto di sorpresa Israele durante la festa ebraica del Simchat Torah e del Sukkot, ha provocato una risposta immediata e su vasta scala da parte dello Stato israeliano. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha convocato una riunione di emergenza e, con il ministro della Difesa Yoav Gallant, ha avviato la controffensiva denominata Operazione Spade di Ferro, proclamando ufficialmente lo stato di guerra.
Secondo fonti governative israeliane, nell’incontro al quartier generale dell’IDF a Tel Aviv è stata approvata la mobilitazione dei riservisti e la dichiarazione di uno stato di emergenza per tutte le aree entro 80 chilometri dal confine con la Striscia di Gaza. Ai residenti lungo la fascia costiera sono state impartite istruzioni di restare in casa; ai civili nel sud e nel centro è stato raccomandato di rimanere vicino ai rifugi. La regione meridionale è stata chiusa alla circolazione civile e sono state disposte chiusure stradali attorno a Gaza e nelle aree metropolitane.
Le autorità hanno disposto anche misure logistiche e di sicurezza: dispiegamento dell’unità antiterrorismo Yamam, schieramento di divisioni aggiuntive e 31 battaglioni nell’area di confine. Trasporti e servizi sono stati parzialmente sospesi o riprogrammati: ferrovie limitate, tratte sostituite con autobus temporanei e diverse compagnie aeree hanno cancellato voli verso e da Israele, pur mantenendo operativo l’aeroporto Ben Gurion. Anche eventi culturali e sportivi sono stati annullati o sospesi: l’Haifa International Film Festival è stato cancellato, Bruno Mars ha annullato il concerto previsto a Tel Aviv e la UEFA ha sospeso le partite in Israele per le due settimane successive, inclusa la gara di qualificazione a Euro 2024.
La crisi politica interna ha visto momenti di tensione ma anche di appello all’unità. Leader dell’opposizione — tra cui Yair Lapid (Yesh Atid), Binyamin Gantz (Unità Nazionale), Avigdor Lieberman (Yisrael Beiteinu) e Merav Michaeli (Partito laburista) — hanno dichiarato il loro sostegno all’IDF e al governo, sottolineando la necessità di unità nazionale. Netanyahu ha invitato Yesh Atid e Unità Nazionale a entrare in un governo di emergenza ristretto; Lapid ha chiesto la formazione di un esecutivo professionale e ha posto condizioni relative all’esclusione di partiti di estrema destra quali il Partito sionista religioso e Otzma Yehudit.
La società civile e i movimenti di protesta hanno reagito modificando i propri piani: il gruppo Kaplan Force ha annullato la manifestazione contro la riforma giudiziaria prevista a Tel Aviv e ha dichiarato sostegno alle forze armate. Forum 555 e Brothers in Arms, movimenti nati dal dissenso dei riservisti verso la riforma, hanno indicato la disponibilità dei riservisti a tornare sotto le armi se richiamati. Intanto Magen David Adom ha lanciato un appello per donazioni di sangue e previsto una campagna straordinaria a Tel Aviv.
Nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania la situazione è precipitata: autorità palestinesi hanno chiuso le scuole nella Striscia e il Ministero della Salute ha chiesto donazioni di sangue. A Ramallah si sono registrati festeggiamenti e, nello stesso tempo, crescenti timori di ritorsioni che hanno portato a controlli di quartiere in numerose località e a uno sciopero generale annunciato per l’8 ottobre. Scontri in Cisgiordania hanno causato vittime e decine di feriti nei giorni immediatamente successivi.
Sul piano retorico e politico, le dichiarazioni si sono moltiplicate: leader palestinesi e di Hamas hanno giustificato l’operazione come risposta a quanto definito la profanazione della moschea di al‑Aqsa e alle uccisioni di palestinesi durante l’anno. Hamas e alleati parlano inoltre di ostaggi trattenuti come leva per il rilascio dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele; i portavoce hanno dichiarato che i combattenti si trovano in “luoghi sicuri e tunnel”. Dall’altro lato, esponenti politici israeliani e comunità internazionali hanno condannato le violenze, parlando di atti terroristici e richiedendo misure per proteggere i civili.
La portata dell’attacco, la rapidità della reazione israeliana e la diffusione delle misure di emergenza hanno già avuto ripercussioni sulla vita quotidiana, sulla politica interna e sulle relazioni internazionali. È stata anche avviata un’indagine sull’incapacità delle autorità di prevenire l’attacco, mentre in Parlamento e nella società civile si sono intensificati i dibattiti sulle responsabilità e sulle strategie per la sicurezza nazionale.
