Il PhD, abbreviazione di “Doctor of Philosophy“, rappresenta il più alto titolo accademico rilasciato dalle università di tutto il mondo. In Italia, questo titolo corrisponde al cosiddetto “dottorato di ricerca”, un percorso di studi che si consegue dopo aver completato una laurea, preferibilmente magistrale. Sebbene il nome derivi dal latino “doctor philosophiae”, il significato del titolo non si riferisce solo alla filosofia, ma si applica a qualsiasi disciplina scientifica o umanistica.
Il dottorato di ricerca po’ dirsi il vertice dell’istruzione universitaria in Italia. Ancora oggi poco conosciuto al grande pubblico, è invece una tappa fondamentale per chi desidera intraprendere una carriera accademica o acquisire competenze specifiche di alto livello. Ma come funziona esattamente questo percorso? E cosa offre a chi sceglie di intraprenderlo?
E’ un programma universitario post-laurea che permette di approfondire in modo avanzato una disciplina attraverso la ricerca, lo studio teorico e l’elaborazione di una tesi. L’obiettivo è formare professionisti con competenze scientifiche e metodologiche elevate, in grado di contribuire in modo originale allo sviluppo del sapere.
Può considerarsi il massimo livello di istruzione previsto dall’ordinamento universitario italiano. È stato istituito nel 1980 e, secondo la legge (Legge numero 28 del 2 maggio 1980), è un percorso riservato a un numero limitato di partecipanti, con l’obiettivo di sviluppare competenze e conoscenze scientifiche approfondite in un campo specifico.
Al termine del percorso, i dottorandi devono presentare una tesi originale e, se superano l’esame finale, ottengono il titolo di Dottore di Ricerca. L’iter dura generalmente tra i 3 e i 4 anni e si focalizza sull’approfondimento di un argomento specifico attraverso un progetto di ricerca rigoroso. In tale periodo, i dottorandi partecipano a seminari, convegni e portano avanti uno studio scientifico che include obiettivi chiari, metodologia precisa e analisi dettagliate dei dati raccolti.
Ogni anno è prevista la consegna di una relazione sull’attività svolta, valutata da una commissione. Solo se l’ esito e’ positivo si accede all’anno successivo. In casi documentati, il percorso può essere sospeso per motivi di salute, maternità o gravi problemi personali.
Per accedere al dottorato, è necessario ottenere l’approvazione di un supervisore accademico e superare un processo di selezione, che in Italia avviene tramite un concorso. All’estero, invece, si può accedere tramite candidature dirette o altri metodi di selezione. I dottorandi spesso ricevono una borsa di studio, che può variare dai 1.000 ai 1.300 euro mensili, a seconda dell’università e dei fondi disponibili.
L’accesso al dottorato avviene tramite concorso pubblico a numero chiuso. Ogni università emette il proprio bando, consultabile sul sito dell’ateneo o sulla Gazzetta Ufficiale. Il concorso prevede una prova scritta e una orale, precedute dalla valutazione dei titoli presenti (CV, progetto di ricerca, lettera motivazionale). Per partecipare è necessario
possedere una laurea magistrale o un titolo equipollente conseguito all’estero. Non sono previsti limiti di età o cittadinanza.
I posti disponibili possono essere coperti da borse di studio finanziate dall’ateneo, da enti pubblici o aziende oppure essere privi di sostegno economico. Nel primo caso, il dottorando riceve un compenso annuale ed è esonerato dalle tasse universitarie. I dottorandi senza borsa devono invece sostenere autonomamente i costi, ma sono tenuti agli stessi obblighi formativi e accademici.
Il dottorato si conclude con la discussione pubblica della tesi, davanti a un collegio di docenti. Il lavoro deve dimostrare la capacità del candidato di contribuire in modo originale e significativo al settore di ricerca scelto.
Durante il percorso, è possibile e spesso incentivato svolgere parte della ricerca all’estero. Molti atenei italiani hanno accordi con università straniere, e non mancano le borse di studio per esperienze internazionali, sia di studio che di tirocinio.
Il principale sbocco del dottorato resta l’accademia: il titolo è requisito indispensabile per partecipare ai concorsi per ricercatore universitario, primo passo verso la carriera di docente (associato prima, ordinario poi). Tuttavia, le opportunità non si esauriscono all’interno dell’università.
Molti dottori di ricerca trovano collocazione nel settore pubblico e privato, in ruoli legati alla ricerca e sviluppo, al project management, alla consulenza specialistica e all’innovazione. In ambito pubblico, il titolo può conferire punteggi aggiuntivi nei concorsi.
L’obiettivo principale del PhD è formare ricercatori qualificati che possano contribuire alla comunità scientifica e accademica, ma anche a settori più ampi come l’industria, le istituzioni culturali e le aziende tecnologiche. In ambito scientifico, un dottorato apre le porte a carriere in medicina, chimica, fisica, ingegneria e informatica, spesso con il supporto di finanziamenti aziendali per lo sviluppo di nuove tecnologie o servizi digitali.
Nel campo delle scienze umane, invece, il dottorato permette di accedere a ruoli di ricerca, insegnamento universitario e responsabilità in progetti culturali, musei, enti pubblici e privati impegnati nella promozione dell’educazione, delle arti e della cultura.
In molti si chiedono perché il titolo di dottore in ricerca viene abbreviato come PhD, anche in Italia e in altri paesi europei? La risposta affonda le radici nella storia dell’università e nella lingua latina, che ha influenzato profondamente il mondo accademico occidentale.
Il termine completo è Philosophiae Doctor, che si traduce letteralmente in “Dottore in Filosofia”. Ma non significa che tutti i dottorati riguardino la filosofia nel senso moderno. In realtà, il termine “filosofia” qui indica un amore per la conoscenza in senso ampio. In passato, tutte le discipline accademiche – dalla matematica alla medicina – erano considerate rami della filosofia. Il titolo di Doctor philosophiae nacque nel Medioevo, quando le prime università europee come Bologna, Parigi e Oxford iniziavano a conferire i primi gradi accademici. La lingua usata era il latino, che rimase la lingua franca della cultura e della scienza per secoli. Ancora oggi, molte università conservano nomi e cerimonie in latino per tradizione.
Il termine PhD si affermò nel mondo anglosassone a partire dal XIX secolo, quando l’Università di Berlino introdusse un modello accademico basato sulla ricerca. Questo approccio fu adottato anche da molte università americane, che importarono il titolo di Doctor of Philosophy, ovvero “Dottore in Filosofia”, per indicare il massimo livello di formazione accademica.
In Italia e in molti altri paesi europei si parla di “Dottorato di Ricerca”, ma a livello internazionale il termine più riconosciuto è proprio PhD. Quando si ottiene un dottorato in Italia, il titolo equivalente per i documenti internazionali è appunto PhD.
Infine, è importante sapere che non tutti i dottorati si chiamano PhD! In alcune discipline professionali, come medicina (MD) o giurisprudenza (JD), esistono altri tipi di dottorato. Tuttavia, il PhD resta il più comune tra quelli orientati alla ricerca scientifica.
Intraprendere un dottorato è una scelta che richiede impegno, costanza e motivazione. Non è un semplice prolungamento degli studi, ma un vero e proprio lavoro intellettuale. Per chi ha passione per la ricerca, desiderio di approfondire e ambizione di lasciare un contributo originale nel proprio campo, il dottorato può rappresentare una tappa cruciale e gratificante del proprio percorso.
In conclusione, il PhD rappresenta un passo fondamentale per chi desidera intraprendere una carriera di ricercatore o docente, ma anche un’opportunità per contribuire allo sviluppo scientifico, tecnologico e culturale della società.