Nel precedente articolo pubblicato il 7 maggio 2025 “L’ombra sul governo popolare: il destino delle democrazie”, vedi si è posto in essere, senza la velleità di essere esaustivi, quali siano le problematiche più urgenti che di fatto minano la stabilità democratica dei nostri sistemi socio-economico-politici. Nel presente contributo affrontiamo uno dei tanti strumenti attraverso cui la volontà del popolo dovrebbe essere cocente e determinante, in una delle sue più impegnate rappresentazioni: il referendum.
Quando si parla di referendum, si tocca uno dei nervi più sensibili e profondi della democrazia contemporanea. È lo strumento che, più di ogni altro, mette direttamente in mano ai cittadini la possibilità di modificare l’assetto normativo del Paese. Non si tratta, come spesso si banalizza, di un semplice “Sì” o “No”. Ogni referendum è, al contrario, un tornante della storia repubblicana, un punto di snodo che interroga la maturità politica di una nazione, la consapevolezza del suo elettorato, l’equilibrio dei suoi poteri.
L’8 e 9 giugno 2025, l’Italia tornerà alle urne per esprimersi su cinque quesiti abrogativi in cui è determinante e quanto mai obbligatorio decidere per le sorti future del nostro paese affinché il diritto costituzionale al lavoro e tutto ciò che ruota intorno ad esso, non siano vituperati, vilipesi e oltreggiati.
Il referendum del lavoro e dei diritti dei lavoratori
L’8 e il 9 giugno 2025 gli italiani non voteranno semplicemente su delle leggi: voteranno su un’idea di società. Un’idea che parla di lavoro stabile o precario, di tutele più forti o più leggere, di cittadinanza come diritto o come conquista difficile. Cinque quesiti referendari, promossi dalla CGIL insieme a numerose realtà civiche, arrivano alle urne per chiedere un giudizio diretto ai cittadini su temi centrali del nostro tempo. E il modo in cui risponderemo, con un Sì o con un No, dirà molto di come vogliamo che funzioni il lavoro in Italia, e di chi può sentirsi parte di questa comunità.
Domenica 8 e lunedì 9 giugno saremo chiamati a votare in presenza, nei seggi di residenza. I seggi saranno aperti domenica dalle 7 alle 23, e lunedì dalle 7 alle 15. Contemporaneamente si terrà anche il secondo turno delle amministrative in molti comuni, ma il voto referendario ha una particolarità importante: perché sia valido, dovrà recarsi alle urne almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto. Senza quorum, anche un Sì larghissimo resterebbe lettera morta.
Vediamo allora, con chiarezza e concretezza, quali sono i cinque temi su cui siamo chiamati a decidere.
- Reintegro al lavoro in caso di licenziamento illegittimo
È forse il quesito simbolo di questa tornata referendaria. Chiede di cancellare il decreto legislativo del 2015, noto come Jobs Act, che ha cambiato radicalmente le regole in caso di licenziamento ingiustificato per chi è stato assunto con contratto a tutele crescenti. Oggi, se un datore di lavoro ti manda via senza una ragione valida, il massimo che puoi ottenere è un risarcimento economico. Il giudice non può quasi mai ordinare che tu venga reintegrato nel tuo posto. Il referendum propone di tornare alla situazione precedente: se licenziato ingiustamente, un lavoratore potrà essere reintegrato. Semplicemente, perché è giusto così.
- Più tutele economiche per chi lavora nelle piccole imprese
Oggi chi lavora in una piccola impresa – cioè con meno di 16 dipendenti – se licenziato senza giusta causa, può ricevere un indennizzo molto limitato: al massimo sei mensilità. Il secondo quesito chiede di eliminare questo tetto, lasciando al giudice la libertà di decidere un risarcimento adeguato al danno subito. Perché un diritto, per essere tale, non può dipendere dalle dimensioni della ditta in cui lavori.
- Stop ai contratti a termine senza motivo
Il terzo quesito si rivolge soprattutto a chi entra oggi nel mondo del lavoro, spesso con contratti precari e instabili. Secondo la legge attuale, nei primi 12 mesi di un contratto a tempo determinato il datore di lavoro può evitare di indicare una causale, cioè una ragione precisa per cui non si assume a tempo indeterminato. Il referendum vuole eliminare questa possibilità e reintrodurre l’obbligo della causale sin da subito. Una mossa per combattere l’abuso dei contratti brevi, e aprire la strada a occupazioni più solide.
- Appalti, sicurezza e responsabilità: non si può delegare la tutela della vita
Un lavoratore che si fa male in un cantiere ha diritto a sapere chi è responsabile. Oggi, se l’incidente dipende da rischi specifici dell’attività dell’appaltatore, il committente (cioè chi ha affidato il lavoro) non è ritenuto responsabile. Il referendum chiede di abrogare questa esclusione, rendendo chi affida il lavoro co-responsabile anche in questi casi. È una questione di civiltà e di sicurezza: se sei committente, non puoi girarti dall’altra parte.
- Cittadinanza italiana dopo cinque anni: una scelta di accoglienza e giustizia
Chi vive legalmente in Italia da dieci anni e contribuisce alla vita economica e sociale del Paese può oggi fare richiesta per diventare cittadino italiano. Ma dieci anni sono tanti. Il quinto quesito propone di ridurre a cinque questo periodo, e di semplificare l’accesso alla cittadinanza anche per i figli minorenni. È un tema che divide, perché non è solo giuridico: è simbolico. Votando Sì, si sceglie di riconoscere prima il legame tra residenza, vita reale e appartenenza.
Come si vota?
Basta recarsi al proprio seggio con un documento d’identità e la tessera elettorale. Chi vive all’estero e risulta iscritto all’AIRE riceverà il plico elettorale via posta. Anche chi è temporaneamente fuori dall’Italia – per studio, lavoro o cure – può votare per corrispondenza, facendo domanda. Gli studenti e i lavoratori fuori sede, domiciliati in una provincia diversa da quella di residenza da almeno tre mesi, potranno votare nel luogo in cui si trovano, ma solo se faranno richiesta entro i termini.
Una sfida tra due visioni del lavoro e della società
Il dibattito attorno ai referendum è già acceso. Da una parte, sindacati e movimenti sociali li presentano come un’occasione storica per riparare ingiustizie e rimettere al centro le persone. Dall’altra, alcune forze politiche e associazioni imprenditoriali temono che l’abrogazione di queste norme possa ostacolare le assunzioni, aumentare i contenziosi o complicare la gestione aziendale. Anche sul tema della cittadinanza si confrontano visioni profondamente diverse di cosa significhi essere italiani.
Ma al di là degli schieramenti, resta una certezza: votare è una responsabilità. In un’epoca in cui spesso ci sentiamo esclusi dalle grandi decisioni, il referendum ci restituisce la parola. Non è una delega, è una scelta.
Perché votare?
Perché i quesiti toccano la vita concreta delle persone. Perché riguardano diritti che oggi non sono garantiti a tutti. Perché parlano di dignità, sicurezza, giustizia. E perché, alla fine, la democrazia è anche questo: prendere posizione, una scheda alla volta.