L’idea dei villaggi turistici nasce nel secondo dopoguerra grazie all’intuizione del belga Gérard Blitz, che immaginò un nuovo modo di concepire la vacanza: all’aria aperta, a contatto con la natura, tra sport, sorrisi e convivialità. Fu lui a fondare il Club Méditerranée, ma fu Gilbert Trigano a trasformare quel sogno utopico in un modello imprenditoriale di successo internazionale.
Con la formula all inclusive, i Resort iniziarono a offrire un’esperienza completa: un microcosmo in cui ogni ospite poteva trovare tutto ciò che desiderava, senza mai uscire dalla struttura. Sport, spettacoli, comfort, incontri, divertimento: tutto in un’unica grande festa pensata per l’essere umano.
Negli anni ’80 e ’90 il villaggio divenne un’istituzione culturale. Una zona franca, dove ognuno poteva reinventarsi: l’avvocato diventava calciatore, l’impiegato ballerino, la madre una diva applaudita da tutti.
E nella sigla finale – cantata, ballata, condivisa – c’era forse la vera magia: il risveglio di una parte nascosta di sé.
Valtur e il sogno italiano
Mentre il Club Med stava rivoluzionando il concetto di vacanza in Europa, l’Italia rispose con un progetto visionario, capace di fondere eleganza e spirito di comunità. Valtur – acronimo di Valorizzazione Turistica – nacque nel 1964, con un obiettivo ambizioso: trasformare la vacanza in un’esperienza organizzata, culturale ed emozionale.
I villaggi Valtur rappresentarono una rivoluzione italiana delle vacanze: pensati per le famiglie, amati dai giovani, erano il luogo dove sport, relax, musica, spettacoli e incontri umani si intrecciavano ogni giorno . Non solo una fuga dalla routine, ma una parentesi di autenticità.
A renderla indimenticabile c’erano loro: le leggende dell’animazione. Figure come Emilio Lauria, Gianmaria Schiavetti e Cristiano Perissi diventavano punti di riferimento, capaci di accogliere, coinvolgere e far sentire ogni ospite parte di un’unica, grande famiglia. Con loro, Valtur non era un brand, ma una scuola di vita: si imparava a sorridere, a condividere, a sentirsi vivi davvero.
Con loro, Valtur andava oltre il concetto di brand, diventando per molti una palestra relazionale: un luogo dove apprendere il valore della socialità e del gioco di squadra, ma anche dove si iniziavano a percepire i limiti di un modello che rischiava di standardizzare l’esperienza del tempo libero.
Ma Valtur fu anche un trampolino per giovani talenti. Tra microfoni e palchi improvvisati, sono cresciuti nomi destinati a lasciare il segno nel mondo dello spettacolo: Fiorello, Teo Mammucari, Angelo Pintus, Giulio Golia, Checco Zalone, Peppe Quintale. Prima di diventare star, furono animatori.
Valtur ha scritto una pagina indelebile del turismo italiano. Più di ogni altra realtà, ha contribuito a creare un immaginario nazionale fatto di sole, energia e relazioni. Un tempo in cui villeggiare significava viversi davvero, uscire dal proprio ruolo sociale, reinventarsi per qualche giorno.
Un settore in salute
Il comparto dei villaggi turistici rappresenta ancora oggi una fetta rilevante del mercato turistico nazionale e internazionale. Secondo i dati più recenti, in Italia si registrano ogni anno milioni di presenze in strutture all-inclusive, con picchi significativi in Puglia, Sicilia, Calabria, Sardegna e Toscana. Un fenomeno che interessa non solo il turismo balneare, ma anche le destinazioni montane: basti pensare ai resort di Trentino, Valle d’Aosta e Abruzzo, capaci di coniugare sport, natura e relax invernale con la formula del villaggio.
Oggi il villaggio non è più un’esperienza standardizzata, ma si declina in una pluralità di offerte: per le famiglie, per i giovani, per i target luxury, con spa, wellness, camere suite e esperienze gourmet e per i viaggiatori internazionali.
Chi oggi opta per un resort lo fa anche per offrire ai propri figli un’estate diversa dal solito, in cui lo smartphone cede spazio alle amicizie del Mini Club, ai tornei sportivi e agli spettacoli sotto le stelle. Ma sempre più strutture integrano esperienze digitali consapevoli, dimostrando che tecnologia e contatto umano non sono necessariamente in conflitto.
L’arte di restare umani
Nel tempo della velocità, del digitale, dell’individualismo, i villaggi turistici sono rimasti un presidio di umanità. Un luogo dove si può ancora ridere insieme senza filtri, ballare senza vergogna, abbracciarsi senza timore. Oggi, mentre l’industria turistica si reinventa tra sostenibilità, digitalizzazione e nuovi bisogni sociali, il villaggio turistico resta un format resiliente e adattabile. La vera sfida è forse questa: continuare a mettere al centro l’essere umano, in tutte le sue sfumature, e trovare nuove modalità per farlo sentire accolto, partecipe e davvero in vacanza.