Ha preso il via lo scorso 16 maggio, presso il Castello d’Alagno di Somma Vesuviana, il “Maggio dell’Architettura – Annodiciotto”, promosso dalla Fondazione SiebenArchi. Anche quest’anno, l’intento scientifico della mostra è «ribadire il ruolo culturale dell’architettura sul piano umanistico, etico, sociale, ambientale ed economico, invitando alla discussione protagonisti dei diversi ambiti di discussione, caratterizzandosi per il carattere trasversale. Progettazione, rapporto tra uomo e lo spazio, rigenerazione urbana, tutela del grande patrimonio storico-architettonico: sono tanti i temi attraverso cui si muoverà il “Maggio dell’Architettura”, con un programma intenso di dibattiti, sessioni plenarie, premiazioni, che si alterneranno ad incursioni artistiche».
Le finalità sono ben espresse dall’architetto Giovanni Fiamingo in una lettera che ha indirizzato alla Fondazione stessa: «Era il lontano 12 ottobre 1907 quando, agli albori della modernità, un giovane Boccioni avvertiva di una rivoluzione in arrivo, poi solo parzialmente inveratasi: “Ho visto una fotografia che gareggiava con qualunque altro quadro. La meccanica fa tali passi nella riproduzione del vero che all’uomo non resta che lo spirito. Tutto va verso lo spirito”».
La proposta curatoriale parte dall’osservazione di una sempre più rapida convergenza del dibattito contemporaneo verso due nodi disciplinari emergenti: da un lato, la progressiva spettacolarizzazione dell’architettura, identificabile nella produzione dello star system; dall’altro, il dirompente ingresso dell’intelligenza artificiale nei processi creativi, attraverso tecniche di progettazione automatizzata e generativa.
Entrambe le questioni delineano lo scenario di una rivoluzione in corso per l’architettura, all’interno della quale la disciplina oscilla fra un orizzonte di crisi imminente e quello di una auspicata rinascita della stessa, ma dove al momento gli automatismi dell’intelligenza artificiale sembrano paventare la fine dell’architetto e dell’architettura tradizionalmente intesi.
In architettura, la costruzione dello spazio presuppone la sua prefigurazione. Oggi stiamo assistendo a uno scontro epocale fra l’intelligenza complessa e sensibile della ricerca autoriale tradizionale, basata su metodologie artigianali/artistiche, stratificate/relazionali, e gli avanzamenti sempre più rapidi della meccanica o delle tecniche generative basate su algoritmi computazionali/autogenerativi, sintetico/autoreferenziali, apparentemente vincenti «nella riproduzione del vero».
L’evento intende fornire, quindi, una piattaforma di incontro/scontro culturale fra questi due mondi, puntando l’attenzione del dibattito sull’antica lezione della rappresentazione e del disegno. L’analisi di diverse esperienze e approcci, spesso condotti in trincea, di protagonisti emergenti o affermati del dibattito italiano vuole porre l’accento sulla dimensione culturale dei processi di configurazione e costruzione dello spazio architettonico, in una auspicata sinergia fra la dimensione autoriale e gli automatismi algoritmici dell’intelligenza artificiale, definendo le premesse per una riflessione sugli attuali limiti della disciplina e sul possibile ruolo e contributo dell’architettura italiana.
Anche per quest’anno, diversi sono gli architetti-artisti invitati: Pier Paolo Poggi, Felice Gualtieri, Claudio Catalano, Valerio Palmieri, Beniamino Servino, Mauro Andreini, Claudio Patanè, Francesco Ferla, Simone Porfiri, Marcello Sestito, Franz Prati, Alessandro Spaccesi, Fabio Barillari, Arturo Tedeschi.
L’evento si struttura in quattro giornate di più sessioni, da oggi 16 maggio sino all’ultimo giorno, sabato 7 giugno, giorno in cui avrà luogo la lectio magistralis dell’architetto Massimo Majowiecki dal titolo «Dalla ricerca alla realizzazione – esperienze progettuali di grandi strutture».
La seconda giornata di lavori ha avuto luogo lo scorso 23 maggio ed è stata dedicata al tema «Architettura e scenografia». Dopo il nutrito parterre di saluti tenuti dall’assessore del Comune di Somma Vesuviana Salvatore Esposito, dalla socia fondatrice di SiebenArchi Rosa Ferrara e dal segretario Ordine Architetti P.P.C. di Napoli Ferdinando Giampiero, a tenere la relazione è stato il professor Orazio Carpenzano (preside della Facoltà di Architettura – La Sapienza, Roma). Prima della relazione del professor Carpenzano, ha avuto luogo un’introduzione dell’architetto Orlando Di Marino.
Il Maggio dell’Architettura, anche quest’anno, gode di numerosi patrocini istituzionali: Regione Campania, Diarc-Unina, Accademia di Belle Arti di Napoli, Istituto nazionale di Architettura. Diversi gli architetti nel comitato organizzatore: Claudio Bozzaotra, Antonio Ciniglio, Rosa Ferrara, Michele Iervolino, Daniela Esposito, Francesco Sepe, Lucrezia Chiapparelli, Rossella Auriemma, Vincenzo Speranza, Giovanni Trocchia, Giuseppe Pietro Sorrentino, Dario Sena, Clara Maffettone, Raffaele De Rosa, Domenico Ceperano, Gianluca Meo, Pio Crispino, Clara Forino, Marta Auriemma, Pasquale De Vivo, Umberto Ciniglio, Antonio Coppola. La direzione del premio “Maggio dell’Architettura” è affidata a Giovanni Fiamingo.
Particolarmente d’interesse sarà la terza giornata del “Maggio dell’Architettura”, prevista per venerdì 30 maggio dalle 17 presso il Castello d’Alagno (Somma Vesuviana). Il 30 verrà inaugurata la mostra «Architettura e progetti», a cura dello studio di architettura di Giuseppe Iodice e Francesco Iodice (studio IodiceArchitetti). La giornata del 30, che avrà come titolo «Architettura e qualità degli ambienti di vita», prevede i saluti istituzionali di Rosella Auriemma, Pasquale Piccolo e Salvatore Di Sarno. Successivamente, sotto la moderazione di Antonio Coppola e con l’introduzione di Antonio Ciniglio, prenderanno parte a una tavola rotonda sul tema Marella Santangelo, Cario De Luca, Massimo Pio Ciamarra, Maurizio Di Stefano, Massimiliano Rendina, Federica Visconti, Francesco Isidori, con le conclusioni di Bruno Discepolo.
-Arch. Iodice, in che modo le profonde radici territoriali hanno poi fatto maturare progetti e architetture realizzate e riconosciute in campo internazionale? Qual è la differenza tra essere architetto nel Sud Italia e lavorare invece in realtà internazionali molto diverse dalla nostra?
Ci interessa moltissimo questo aspetto, saper cogliere le dinamiche del reale, le infinite contraddizioni, apparenti e non, per elaborare progetti e architetture anche in luoghi lontani e spesso molto diversi dal nostro modo di intendere. Cambiano gli scenari, le dinamiche, i luoghi, ma il nostro tipo di approccio resta tale. Esiste un’etica nell’architettura e nel fare architettura, dove l’uomo, inteso nella sua accezione totalizzante, corporea, razionale, immaginativa, desiderante, è ancora protagonista. È di nostro interesse tutto ciò che ci aiuta ad avere un punto di osservazione critico sul reale. La validità delle risposte sta nella capacità di farsi domande. Il nostro lavoro consiste nel rispondere alle dinamiche del reale attraverso manufatti; non è un fatto di stile ma una risposta etica a problematiche reali. Gli uomini e le cose si influenzano vicendevolmente. Se questo è vero, è una cosa meravigliosa quanto magica. Esiste dunque una magia del reale.
Siamo tutti abituati alla magia del pensiero, ma esiste una forma di magia nel reale e nella concretezza altrettanto incredibile di cui dobbiamo riappropriarci. Il reale, la fisicità di ciò che ci circonda, fa da ponte ai nostri sensi. Nello stesso tempo crediamo che non si possa fare architettura ignorando il contesto o dimenticandosi il passato. Al di sotto delle correnti di superficie di ogni epoca, esiste una corrente profonda che ci mette in rapporto con il passato e con le radici più autentiche di ogni luogo e di ogni civiltà; da lì viene la ricchezza creata da chi ci ha preceduti ed è da lì che dobbiamo continuare. Ci piace concepire il senso della tradizione come un flusso, una corrente che ci porta verso il futuro. Nonostante il nostro sano desiderio di intervenire con edifici contemporanei, siamo convinti che bisogna partire da basi solide senza mai spezzare il filo di congiunzione col passato né rinnegare un’eredità di così grande valore. Salinas afferma che «uno dei più grandi benefici della tradizione è quello di dotarci di criteri di scelta e cambiamento». Oggi non è facile controllare un pensiero senza essere travolti dalla cultura del globale.
Troppe le informazioni che arrivano in tempi brevi senza avere il tempo di metabolizzarle. Spesso si parla di cose di cui non si conosce niente, questo è il vero male. È proprio nel forte momento mediatico degli ultimi decenni che assistiamo, purtroppo, alla divulgazione di un’architettura fatta di immagini, dove acquista valore l’avvenenza e la malizia. Bene, tutto questo non ha nulla a che vedere con l’architettura. Noi sentiamo ancora il peso di un mestiere e crediamo che fare architettura sia una grande opportunità. L’architettura nasce dalla ricchezza dei suoi valori, da grandi idee e non sempre da grandi risorse.
In Cina, ad esempio, ma come in altre realtà internazionali, ci siamo confrontati veramente con la grande dimensione, ma l’uomo e la percezione che ha di uno spazio restano i fondamenti del nostro pensiero, il minimo comun denominatore; si potrebbe affermare che cambia la scala di rappresentazione ma non quella dei valori. La dimensione finale è quella di progettare, in quel luogo e in quel contesto specifico, per l’uomo e i valori che rappresenta. Oggi invece si assiste a un’ansia di «modernità spicciola», non radicata nella ricerca di valori, ma di forme. Una buona indagine non insegue un linguaggio stilistico, non si fa carico di una ricerca formale. Essa porta con sé un desiderio di valori ed è quello che la nostra architettura vuole far emergere in ogni luogo e a ogni latitudine.
Manifestazioni come Maggio dell’Architettura aiutano certamente ad avere nella comunità una maggiore consapevolezza delle questioni e delle variabili che guidano un progetto e di conseguenza un’architettura. Il nostro contributo all’evento, fatto di modelli e di pensieri sparsi, ha in qualche modo l’ambizione di essere una sorta di libro, di film, con diversi gradi di lettura a seconda dell’interlocutore. Non voleva essere un contributo specifico per gli addetti ai lavori, ma un qualcosa in grado di stimolare l’intera comunità.