Il noir è marginale, a tratti scompare in “Ovunque andrò” di Piera Carlomagno. Il lettore, condizionato dal dato “Direttrice artistica di Salernoir Festival” sulla carta d’identità letteraria dell’autrice, scopre, gode di un altro, altri romanzi. Tania, personaggio chiave, contestualmente, voce narrante e regista dei tempi d’orologio, luoghi fisici, storici del racconto. Filo diretto continuo col lettore, coinvolto in modo diretto nell’aula del tribunale virtuale dove si processa la vicenda. La nipote di Gaetana Alario, dalla quale, eredita la “puntella”, il nome, esordisce nella descrizione della morte del marito, Raniero Monforti, mega industriale, precipitato da un grattacielo di Pechino. Il mistero che avvolge l’evento è confezionato ad hoc dall’arbitro del gioco e il noir prende corpo, ma la storia ha radici che partono da lontano.
Il lettore è trascinato, si perde, magnetizzato da sensazioni endorfiniche regalate da un valore divino: la memoria. Le ricostruzioni sono delicate, profonde, cesellate nei particolari e alleggerite da una ossequiosa fantasia che nella terra mistica lucana, vede trasformato Fardella in Castrappeso (1935) e Lauria in Vallemonte (1943). La modalità d’uso della parola scritta di Piera Carlomagno, costruisce immagini visive, odori, atmosfere, sensazioni di contesti e famiglie meridionali, che, con le dovute differenze epocali, richiamano, nella memoria di chi legge, le unicità del “Gattopardo“ di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Le tradizioni del nostro mezzogiorno, il legame reciproco fra psicologia dei personaggi e condizionamenti familiari, sociali, di un preciso momento storico, percepiti dal lettore con la nitidezza di un quadro vedutista. Traspare la padronanza, passione assoluta della terra di Basilicata, di Piera Carlomagno, ereditata della infanzia in quei luoghi, con routinari ritorni, dal civico 21 di via Cacciatore a Salerno dove abitava con i cari genitori lucani, appunto.
L’osmosi fra un linguaggio tecnico, letterario ricercato e le espressioni, suoni linguistici della tradizione meridionale, nella fattispecie lucana, è il valore aggiunto del romanzo. Un “micro giallo”, sul noir di fondo del racconto è quello dei nomi da interpretare non solo dei paesi ma dei personaggi come Aftonio (riferimento al retore di Antiochia), che diventerà Antonio. Le figure del romanzo hanno tutte dell’incredibile. Meriterebbe ognuna una storia dedicata. Le donne, in primis, determinanti.
La figura di Gaetana Alario, eroica. Esegesi della donna mediterranea, meridionale, che si annulla completamente nel sacrificio di gestione di sei figli contro tutto e tutti. Simbolo di dignità a oltranza, anche nel baratro della miseria, grazie ad un carattere aspro ma risoluto che non si piega. Ci mette la faccia anche contro la “vox populi” che pettegola sulla sua relazione col podestà, grazie alla quale arrangia una sopravvivenza ai figli. Una sorta di “Filumena Marturano” ante litteram che celebra il valore della “Donna Madre”, da sempre impegnata a guadagnarsi ogni millimetro di riconoscimento sociale.
La stessa figura di Cassandra, figlia di Gaetana, dalle parole contate, nella sua genuinità, il rovescio della medaglia della donna eroica e risoluta. Donna, figlia, sorella, futura madre che sa tacere, nascondere un segreto, che non equivale a omertà ma buon senso per blindare una verità nella cassaforte della famiglia da salvare. “Non si accorse Gaetana, mentre soggiaceva alle voglie del podestà, che Cassandra era lì per terra, tra i sacchi di mangime, con il suo vestitino corto e gli occhi annegati nel verde.Non ci furono parole, né carezze, il buio fu più forte di quegli occhi di bambina. Così lei percepì, più che vedere, immaginò, più che ascoltare.”
Nella celebrazione della donna, salvifica della famiglia, della società, Piera Carlomagno, nella sua umiltà, si colloca sulla scia storica, giornalistico-letteraria di giganti come Matilde Serao e Oriana Fallaci. Commovente anche la delusione, nonostante l’impegno dell’avvocato Mitidieri, relativa alla causa lavorativa sulla morte del povero Salvatore per polmonite. Il sopruso dello stato a danno dei “cafoni”, la frustrazione e senso di “sconfitta a prescindere” dei deboli, è descritta, fatta percepire, negli umori, atmosfere, contesto socio-familiare, con efficacia emotiva, evocante “Fontamara” del grande Ignazio Silone.
Impressionante l’ecletticità, giri di boa repentini, con i quali l’autrice passa non solo da un contesto narrativo storico ad un altro, ma dal linguaggio, espressioni linguistiche di quel momento, a quelle dei nostri giorni. Dai suoni del dialetto lucano, il lettore si ritrova in piena musicalità della Napoli dei decumani, per finire nelle ipermoderne sonorità (Dumping…Wet-Blue…Guanxi), delle megalopoli cinesi, elettriche, frenetiche fosforescenti, accecanti, dominate dalla “Dea economia”.
Nello zainetto di Piera Carlomagno, c’è tanta roba. Viene fuori in ogni rigo del racconto: cultura umanistica, storia e vissuto nei paesi, città del Mezzogiorno e della Cina, linguaggio di giornalista navigata, nozioni giuridiche e molto di più di economia europea e extracontinentale. Chi legge, viene catapultato da un ambiente all’altro, dal linguaggio di una disciplina ad un’altra, percependo la sensazione di interagire sempre con un “addetto ai lavori”. Il colloquio con il lettore è cadenzato, strumento, espediente di pausa di riflessioni:
“Amici miei, guardatevi dentro anche voi. Quante volte avete lasciato che le cose andassero avanti così com’erano per paura o per comodità? È sempre una sorpresa scoprire l’altra faccia della medaglia, e così si finisce per sentirsi giustificati e non prendere in considerazione l’unica via possibile: cambiare medaglia, indagare la realtà, scegliere. Promettetemi che lo farete domani, dopo il caffellatte, come primo passo vero della giornata, magari della vostra vita”.
Anche se possa sembrare sconfinare nella provocazione:
“Non fate facili battute, donne e uomini senza rispetto, in questo momento vacilla anche il mio senso dell’ironia”
Il romanzo appassiona, commuove la rete di rapporti umani antichi, generazioni e famiglie che hanno incrociato i propri vissuti, destini. La vera eredità di Tania, non è la R&C Pelli Italiana, ma il patrimonio di fusione indelebile con le figure del passato e del presente. La modalità, il responsabile della morte di Raniero Monforti non è il leitmotiv del romanzo bensì la verità del rapporto fra Tania e il marito.
Cosa è stato, cosa è, cosa resterà per sempre, pur nella bolgia, intrigo della faida economica italo-cinese, in pasto alla opinione pubblica. Tania è una combattente della vita. Ha il sangue di Gaetana Alario e Aftonio. Ha l’amore nell’anima, sulla quale ha costruito lo scudo del disincanto, qualche volta del cinismo. Lascia al lettore, capire, interpretare la verità delle vicende e rapporti che vive, in primis con Raniero Monforti, fino alla fine. Lei, vive della sua coerenza, della sua passione nel tragitto difficile esistenziale, “Sotto il sole, la luna, le stelle”…”Ovunque andrà..”
