Nel contesto di una democrazia rappresentativa, il referendum costituisce una delle più nobili manifestazioni della sovranità popolare, consentendo ai cittadini di incidere direttamente sulla normativa vigente. L’articolo 75 della Costituzione italiana sancisce infatti che, mediante referendum, il popolo può abrogare, in tutto o in parte, una legge o un atto avente forza di legge. È una forma di intervento diretto che, proprio perché eccezionale e straordinaria, dovrebbe essere oggetto di massimo rispetto e di ampio dibattito pubblico. Non si tratta soltanto di una possibilità formale, ma dell’effettiva realizzazione del principio democratico, in cui il cittadino non si limita a delegare, ma agisce. Eppure, questa opportunità si scontra oggi con una realtà inquietante: l’indifferenza istituzionale e l’oscuramento mediatico.
La consultazione referendaria dell’8 e 9 giugno 2025, che chiama gli italiani a esprimersi su cinque quesiti abrogativi di cui già ne abbiamo parlato nella pubblicazione dell’altro ieri sulla stessa rivista dal titolo “Il referendum come specchio della democrazia”, sta avvenendo in un clima di pressoché totale silenzio. Ciò che dovrebbe essere occasione di confronto civile, informato e partecipato, rischia di trasformarsi in un evento residuale, marginalizzato dal sistema dell’informazione e spinto all’oblio dalle strategie politiche. In tale scenario, il referendum perde la sua forza propulsiva e si riduce a una mera formalità, svuotata di significato e potere trasformativo.
Una democrazia distratta: l’indifferenza dell’informazione
Il dato più allarmante emerge dal monitoraggio dell’AGCOM, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, che ha lanciato un severo richiamo nei confronti della Rai e delle principali emittenti televisive e radiofoniche nazionali. Dal 9 aprile al 10 maggio, le televisioni italiane hanno dedicato al tema referendario meno dell’1% del tempo d’informazione. Nello specifico, la Rai, servizio pubblico radiotelevisivo, ha riservato ai referendum appena lo 0,62%, Mediaset lo 0,45%, mentre La7 e Sky Italia si sono fermate rispettivamente allo 0,75% e allo 0,82%. Numeri che evidenziano una scelta editoriale precisa, e ancor più grave se si considera il ruolo centrale del servizio pubblico nel garantire il pluralismo e l’accesso equo all’informazione.
L’AGCOM, nella nota ufficiale che accompagna il richiamo, ha ribadito l’obbligo delle emittenti di assicurare un’informazione imparziale, completa e corretta, tanto sui contenuti dei quesiti quanto sulle differenti posizioni in campo. Il pluralismo dell’informazione non è un orpello retorico, ma la condizione necessaria perché ogni cittadino possa esercitare un voto consapevole. Negare visibilità a un appuntamento referendario equivale a ridurne la legittimità, a svuotare di senso una delle più alte espressioni di cittadinanza attiva. Il disinteresse mediatico si configura pertanto non come una semplice mancanza, ma come un vero e proprio deficit democratico.
La strategia dell’astensione: tra calcolo politico e deriva democratica
A rendere ancor più inquietante il quadro è la scelta esplicita, da parte di alcuni esponenti del governo, di promuovere apertamente l’astensionismo come tattica politica. La logica è semplice quanto brutale: poiché il referendum abrogativo è valido solo se si raggiunge il quorum della metà più uno degli aventi diritto al voto, si preferisce puntare sull’astensione per invalidarne l’esito, piuttosto che affrontare il confronto nel merito. Antonio Tajani, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia, è stato tra i primi a dichiarare pubblicamente questa strategia. A ruota libera, altri esponenti della maggioranza hanno seguito la stessa linea, tra cui il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, che ha affermato: «Farò propaganda affinché la gente se ne stia a casa».
Questa posizione, pur rientrando nella legittimità formale del gioco politico, solleva serie perplessità sotto il profilo etico e costituzionale. Spingere i cittadini all’astensione significa esautorare il loro ruolo decisionale e considerare il referendum come un ostacolo da aggirare, anziché come un’opportunità di confronto. È una scelta che tradisce lo spirito della partecipazione democratica e mina la fiducia nelle istituzioni. Si afferma così una cultura politica della rinuncia, della diserzione, in cui l’apatia diventa virtù e l’impegno un fastidio. In una tale logica, la democrazia si riduce a teatro di facciata, e il cittadino a spettatore muto.
Rai e responsabilità pubblica: il dovere tradito del servizio pubblico
In un contesto così critico, il ruolo della Rai risulta particolarmente problematico. In quanto servizio pubblico, la televisione di Stato ha il compito, sancito dalla legge e dai contratti di servizio, di garantire l’accesso equo all’informazione politica e istituzionale. La sua funzione non si esaurisce nella diffusione di notizie, ma si sostanzia nella promozione della cittadinanza attiva, nella formazione del senso civico, nella costruzione di un’opinione pubblica consapevole.
Il fatto che proprio la Rai si collochi tra le emittenti che meno spazio hanno dedicato al tema referendario è un segnale drammatico. Significa venire meno a un mandato costituzionale. In una società dell’informazione, oscurare un tema è il modo più efficace per negarne l’esistenza. E se il referendum sparisce dagli schermi, sparisce anche dalla coscienza collettiva. La Rai non può permettersi questa omissione, perché ciò che è in gioco non è un semplice equilibrio tra forze politiche, ma la qualità della democrazia stessa.
Una democrazia viva si nutre di partecipazione, non di silenzi
È tempo di una presa di coscienza collettiva. Il referendum non è un orpello della Prima Repubblica, né un retaggio plebiscitario: è uno strumento vivo e potente, se sostenuto da un dibattito informato e da un clima di partecipazione attiva. La sua marginalizzazione rappresenta un segnale d’allarme sullo stato di salute della nostra democrazia. Quando il cittadino viene dissuaso dal partecipare o non viene messo in condizione di comprendere ciò su cui è chiamato a esprimersi, la sovranità popolare viene svuotata, e il potere si allontana da chi dovrebbe legittimamente esercitarlo.
Occorre invertire la rotta. Serve una mobilitazione culturale e politica che restituisca al referendum il suo valore fondativo. Le istituzioni devono assumersi le proprie responsabilità, i media devono adempiere al loro dovere di informazione, e i cittadini devono rivendicare il loro diritto a contare. Non è solo un voto che si gioca l’8 e 9 giugno: è la credibilità del nostro patto democratico.