(Adnkronos) – “Il caso Gergiev va ben oltre una semplice polemica su un concerto. Rappresenta un vero e proprio termometro di una società che ha perso il senso della misura, della proporzionalità e della giustizia”. Lo dice all’AdnKronos, Roberto Vannacci, vicesegretario della Lega e eurodeputato del Carroccio, commentando il caso del direttore d’orchestra russo invitato a Caserta, al centro delle polemiche per il suo presunto filo-putinismo. Quanto avviene “è il simbolo di un’Europa che, nel tentativo di combattere l’autoritarismo altrui, ha finito per sviluppare un suo particolare tipo di autoritarismo, quello del pensiero unico mascherato da democrazia”.
Per Vannacci si torna a parlare di censura: “Ma questa volta non si tratta di social media o di trapper che cantano di droga e violenza. Questa volta il caso è più emblematico e grottesco. C’è un direttore d’orchestra, Valery Gergiev, che viene sottoposto a una gogna mediatica perché doveva esibirsi alla Reggia di Caserta, dopo un invito ricevuto dalla Regione Campania. Il suo crimine però è ben più grave: essere russo e non aver rinnegato pubblicamente Putin”, avverte l’ex capo della Folgore. Nella valutazione di Vannacci il crimine di Gergiev “così come platealmente denunciato da eurodeputati del Pd come Pina Picierno, è quello di far parte della ‘casta di sostenitori di Putin’ insieme ‘ai complici dei crimini di guerra’. È difficile pensare che Picierno abbia fatto questa dichiarazione senza un motivo preciso: evidentemente aveva bisogno di visibilità mediatica a buon mercato visto che, evidentemente, non ha altre occasioni per apparire. E infatti, l’Unione Europea ha dimostrato la sua straordinaria eleganza diplomatica ‘avvisando’ De Luca che ‘non va dato spazio ad artisti che sostengono ad oltranza Putin'”.
“Ma il bello deve ancora arrivare -aggiunge- la vedova di Navalny, ben più quotata nei salotti progressisti, ha riempito i suoi canali social definendo Gergiev ‘criminale’ e ‘complice’. Così, con la facilità con cui si ordina un caffè al bar si definisce una persona contraria all’ideologia di genere un omofobo, uno che avversa l’immigrazione clandestina un razzista, uno che rispetta le forze dell’ordine un fascista e un maestro della musica classica diventa un criminale”, dice commentando l’intervento della moglie del dissidente russo morto in carcere.
“Parliamo di un musicista che ha dedicato tutta la sua vita alla cultura e, semplicemente perché è russo, mancherebbe delle ‘qualità’ politicamente accettabili che l’Occidente richiede, quindi viene trattato come un criminale di guerra”, replica il generale.
E ancora: “Stiamo assistendo ad una modalità di razzismo culturale travestito da antifascismo. Gergiev subisce sanzioni non per ciò che ha compiuto, bensì per ciò che rappresenta un russo che non si è piegato al diktat occidentale”.
“Qui emerge tutta la mostruosa ipocrisia di questa gente: quelli che vorrebbero abbattere i muri e costruire ponti, quelli dell’accoglienza indiscriminata, quelli delle libertà, della democrazia, dell’abolizione delle frontiere, della tolleranza e dell’inclusione sono i primi a epurare chi non la pensa come loro. E non fanno eccezione settori come la cultura, l’arte e lo sport. Se appartieni ad Afd non puoi lavorare e se sei un artista russo non ti puoi esibire… però finanziamo le Ong che portano clandestini sulle nostre coste. Ecco la coerenza del pensiero progressista: apertura totale per chi serve alla loro agenda, ghigliottina immediata per chi osa dissentire”.
“Il caso Gergiev è emblematico dell’atteggiamento che la sinistra europea ha adottato in queste regioni del mondo, quasi come un nuovo braccio dell’Inquisizione. È necessario non solo eccellere nel campo dell’arte, ma anche passare il dovuto esame di conformità ideologica. Un artista non ha più la libertà di ‘creare bellezza’, ma deve imparare a ottemperare ai dogmi centrali propugnati dalla stampa progressista. E guai a chi ha l’ardire di dissentire, o ancor peggio, mantenersi nell’auspicabile e politico equilibrio di non schierarsi. È così che si scivola verso un regime di dittatura culturale: un tassello alla volta, un artista alla volta, una ragione alla volta e una conferenza sulla ‘remigrazione’ alla volta”, aggiunge.
“La sinistra si riempie la bocca con parole come ‘diversità’ e ‘inclusione’, tuttavia applica una delle esclusioni più spietate verso chi non si conforma alla sua visione del mondo. Mentre predica la tolleranza, mostra invece un’intolleranza totale. E mentre celebra il dialogo interculturale, elimina chiunque non segua i suoi dogmi ideologici -dice il leghista- . Il presidente De Luca, almeno, ha avuto il coraggio di difendere la sua scelta, parlando di ‘dialogo culturale’. Ma è rimasto praticamente solo, circondato da una schiera di segugi dei media pronti a scatenarsi contro chiunque osi sfidare l’ortodossia del momento”.
“Quello che mi colpisce di più è la totale mancanza di senso critico in questa situazione. Nessuno si è preso un momento per riflettere su cosa significhi davvero escludere un artista a causa delle sue presunte idee politiche. Nessuno si è chiesto se sia giusto trasformare la cultura in un tribunale ideologico. Nessuno ha considerato che, in questo modo, si sta creando un precedente estremamente pericoloso per la libertà e per l’estro artistico. Ma forse è proprio questo il punto: instaurare un clima di terrore culturale in cui ogni artista, ogni intellettuale, ogni scrittore sa di dover ‘camminare sulle uova’ per evitare la scomunica mediatica. Un ambiente in cui l’autocensura diventa la norma e il conformismo l’unica via per sopravvivere”, conclude.
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