All’indomani dell’elezione della nuova guida della comunità cattolica, mi sono recato, come faccio sempre dopo un evento storico significativo, in edicola per acquistare un quotidiano da conservare come ricordo. Tanti titoli accattivanti mi hanno accolto, ma ho scelto quello che, a mio avviso, riassumeva al meglio l’evento: il Corriere della Sera, con un didascalico ma efficace “Il Papa americano: pace”.
Una sensazione d’irrequietezza, però, mi ha colto leggendo un passaggio del “Taccuino e la storia”, dove Aldo Cazzullo, nel suo preambolo introduttivo al commento sulla scelta del nome del nuovo pontefice, scrive: “Leone, il nome del primo Papa a riconciliare, con la Rerum Novarum, la cristianità con la modernità”.
Perché questo riferimento secondario mi ha tanto colpito?
Perché mi sono reso conto che, probabilmente, la celebre enciclica di Leone XIII non sia stata letta, o perlomeno letta bene, né dal noto giornalista né dalla redazione del Corriere. Chiedo perdono per la mia puntigliosità da storico, ma sappiamo bene che i giornali devono essere succulenti, immediati e, purtroppo, molto retorici.
La scelta del nome del pontefice Prevost sta suscitando numerose discussioni e, tra le varie opinioni, torna prepotentemente in auge l’enciclica Rerum Novarum, identificata come il documento fondante della dottrina sociale della Chiesa. Se traduciamo letteralmente il titolo dal latino, otteniamo semplicemente “Delle Cose Nuove”. Tuttavia, il primo anacronismo che molti commettono leggendo con occhi contemporanei è credere che Leone XIII intendesse riferirsi direttamente alle novità del suo tempo, e dunque, come dice Cazzullo, riconciliare la modernità con la cristianità. Tutt’altro!
Chiunque mastichi un minimo di latino riconoscerà immediatamente un cortocircuito semantico: “Rerum” è un genitivo plurale femminile accompagnato dal suo aggettivo concordato “Novarum”, che indica chiaramente un complemento di specificazione e non un soggetto. Andiamo direttamente al testo originale:
Rerum novarum semel excitata cupidine, quae diu quidem commovet civitates, illud erat consecuturum ut commutationum studia a rationibus politicis in oeconomicarum cognatum genus aliquando defluerent.
Qui il soggetto è “cupidine” che, nell’ablativo assoluto iniziale con il participio “excitata”, regge “rerum novarum” come genitivo di pertinenza. La traduzione integrale chiarisce tutto:
Una volta destata l’ingorda brama delle novità — brama che da lungo tempo sconquassa gli Stati — era fatale che gli ardori di sovvertimento, dalle beghe politiche, tracimassero prima o poi dentro un campo affine di natura economica.
Già questo incipit fa intuire che il clima non sia affatto di riconciliazione con la modernità. Anzi, è cruciale ribadire che il fine ultimo dell’enciclica non era la questione sociale in sé, o la condizione degli operai, bensì il mezzo per “smascherare” gli effetti negativi della modernità:
Itaque, proposita Nobis Ecclesiae caussa et salute communi, quod alias consuevimus, Venerabiles Fratres, datis ad vos Litteris de imperio politico, de libertate humana, de civitatum constitutione christiana, aliisque non dissimili genere, quae ad refutandas opinionum fallacias opportuna videbantur, idem nunc faciendum de conditione opificum iisdem de caussis duximus.
Pertanto, posta davanti a Noi — come obiettivo — la causa della Chiesa e la salvezza comune, come abbiamo preso l’abitudine di fare in altre occasioni, Venerabili Fratelli, dopo avervi inviato Lettere sull’autorità politica, sulla libertà umana, sulla costituzione cristiana degli Stati e su altri argomenti non dissimili, che sembravano opportuni per confutare gli errori delle dottrine, abbiamo ritenuto, per le stesse ragioni, che ora si debba fare lo stesso riguardo alla condizione degli operai.
Tornando al nuovo pontefice Leone XIV, la scelta del suo nome merita senz’altro una riflessione più ampia e storicamente fondata, perché ogni Leone è emerso in momenti estremamente delicati per la Chiesa e per l’Occidente. Leone I Magno (440-461), secondo la tradizione, riuscì a fermare Attila, il flagellum Dei, e mediò con Genserico per attenuare il sacco vandalico di Roma del 455. Leone III (795-816) cambiò simbolicamente i rapporti tra Chiesa e Stato incoronando Carlo Magno imperatore la notte di Natale dell’800, un gesto dal potente significato politico e religioso. Leone IV (847-855) costruì le mura Leonine a difesa di Roma dalle devastanti incursioni saracene e condusse la vittoriosa battaglia navale di Ostia, anticipando per eco storico quella di Lepanto. Leone X (1513-1521), sebbene non ereditasse una situazione relativamente difficile, contribuì significativamente alla nascita della crisi religiosa della Riforma luterana. Infine, Leone XIII (1878-1903) ereditò un ingombrante vuoto temporale con il Risorgimento e affrontò le sfide poste dalle nuove ideologie liberali e socialiste nate dalle rivoluzioni industriali.
Arrivando dunque al nostro Leone XIV, dobbiamo ammettere che lo scenario geopolitico non è certamente tra i più rassicuranti. Inutile soffermarsi troppo a lungo, ma è evidente come il Conclave abbia forse intravisto nella sua nazionalità una preziosa opportunità: quella di ricucire uno strappo sempre più ampio con gli Stati Uniti, cercando di riportare così centralità e influenza alla Chiesa di Roma, indebolitasi progressivamente già a partire dagli ultimi anni del pontificato di Giovanni Paolo II.
Nel suo discorso inaugurale, Leone XIV ha subito messo in campo una forte e significativa simbologia visiva, recuperando chiaramente i paramenti canonici tradizionali, a partire dal celebre “mozzetto”, prendendo così, almeno dal punto di vista formale, le distanze dal predecessore Francesco. Ma la novità assoluta, opportunamente sottolineata da Cazzullo, risiede nella presenza di un foglio di appunti nelle sue mani: un dettaglio che parla chiaramente di preparazione, consapevolezza e rigore.
La pace ha certamente avuto il ruolo principale nelle sue parole, ma sarebbe un errore sottovalutare altri due elementi fondamentali. Primo, la consapevolezza del peso della responsabilità di essere erede di Pietro, un’eredità richiamata senza alcun riferimento personale ma piuttosto come consapevolezza collettiva, istituzionale e soprattutto spirituale. Secondo, il forte messaggio di universalità, espresso nell’impegno solenne di offrire “carità, presenza, dialogo e amore”.
A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, d’Italia e di tutto il mondo – afferma Leone XIV – vogliamo essere una Chiesa che cerca sempre la pace, sempre la carità, sempre vicina soprattutto a coloro che soffrono.
Dopo la pace, dunque, è proprio la carità la grande protagonista delle sue prime dichiarazioni pubbliche.
Interessante (e forse non casuale) coincidenza: proprio la carità è celebrata dalla celebre enciclica Rerum Novarum, che si conclude esortando i “Venerabili Fratelli” a custodire e risvegliare questa “signora e regina di tutte le virtù”. Un rimando preciso e simbolico che si riflette anche nelle sue prime riflessioni teologiche, quando Leone XIV riprende significativamente il vangelo di Matteo (16, 13-16), evidenziando con forza che ancora oggi
la fede cristiana è spesso considerata assurda, roba da persone deboli o ingenue, e sostituita da false sicurezze come tecnologia, denaro, successo, potere e piacere. Non meno rilevante, inoltre, è la denuncia della tendenza contemporanea di ridurre Gesù Cristo a un semplice leader carismatico o a un superuomo, fenomeno diffuso anche tra molti battezzati, che conduce a un preoccupante ateismo di fatto. Insomma, una vera e propria prima critica radicale alla modernità del nuovo pontefice.
E se Leone XIII invocava un rinnovamento sociale attraverso il ritorno ai valori cristiani:
Quare si societati generis humani medendum est, revocatio vitae institutorumque christianorum sola medebitur
Se esiste una cura ai mali della società, essa risiede solo nel ritorno alla vita e ai valori cristiani,
il percorso che Leone XIV prospetta è ,piuttosto, una sottolineatura contemplativa e spirituale, invitando tutti, soprattutto chi esercita autorità nella Chiesa, ad assumere un atteggiamento di umiltà radicale:
sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato.
Ma, come sempre, solo la storia saprà rivelare se queste parole diverranno realtà o resteranno, invece, nobili aspirazioni. Già ieri, tuttavia, Leone XIV ha offerto un primo segnale concreto spiegando ai cardinali le motivazioni del suo nome, confermando il legame con Leone XIII, e insieme il proposito di guidare la Chiesa dentro una nuova rivoluzione industriale segnata dall’intelligenza artificiale.
In questo orizzonte, la sfida tecnologica s’intreccia con la sua identità agostiniana. Il motto scelto, In Illo uno unum – Nel Cristo unico, siamo uno –, tratto dal commento di sant’Agostino al Salmo 127, richiama la vocazione all’unità della Chiesa e riafferma che solo restando “in Uno” si può restare “uno” anche nel tempo dei big data e dei circuiti neurali. L’invito è quindi a
governare la tecnologia con la luce della fede
costruendo comunione laddove l’iper-connessione rischia di moltiplicare solitudini.
Sta forse qui, nell’intreccio tra dottrina sociale, insidie della modernità, sfida dell’IA e visione agostiniana di unità, la cifra iniziale di questo pontificato: conservare il passato per orientare il futuro, custodire l’umano dentro l’algoritmo. È questa, almeno, l’ambizione dichiarata di Leone XIV, convinto che la modernità più autentica fiorisca solo se radicata nell’unico Cristo. Resta da vedere se tali intenti sapranno tradursi in pratica: solo il tempo potrà dire se il nuovo Leone aggiungerà davvero un capitolo significativo alla complessa vicenda dei Papi che portano questo nome – e, soprattutto, in quale direzione guiderà le odierne rerum novarum.
Desidero esprimere la mia più sentita gratitudine all’amico storico don Alex Criscuolo, direttore degli Archivi Diocesani della Diocesi di Cerreto-Telese-Sant’Agata de’ Goti, la cui recente e brillante pubblicazione (“Finché durerà la lotta dell’errore colla verità.” Chiesa, Stato e Risorgimento: il caso di mons. Luigi Sodo, vescovo di Telese o Cerreto) mi ha offerto l’opportunità di approfondire questi temi e di condividere le sue preziose riflessioni.