Il presente articolo analizza il rapporto complesso tra memoria, oblio e indifferenza, ponendo l’accento sul ruolo corrosivo che quest’ultima svolge nei processi individuali e collettivi di elaborazione del passato. Attraverso il riferimento a filosofi, storici e scrittori – da Nietzsche a Ricoeur, da Levi a Wiesel – si evidenzia come la memoria non sia un archivio neutro, ma un campo dinamico che richiede costante vigilanza. L’indifferenza, al contrario, rappresenta il vero pericolo per la trasmissione del ricordo, poiché svuota dall’interno la coscienza critica, trasformando il dolore e la responsabilità in retorica sterile. Si dimostra inoltre come tali dinamiche siano oggi evidenti nei conflitti geopolitici contemporanei, nelle crisi migratorie e nei mutamenti climatici, dove l’oblio e l’indifferenza collettiva diventano de factu strumenti politici di gestione del dolore e dell’invisibilità.
Perché questa storia ci parla oggi
Il problema della memoria, del suo necessario dialogo con l’oblio e della minaccia dell’indifferenza è stato ampiamente indagato dalla filosofia e dalla letteratura del Novecento. Paul Ricoeur, in La mémoire, l’histoire, l’oubli (2000), osserva: «Il ricordo non è mai puro, ma sempre ricostruito; l’oblio non è mai assoluto, ma sempre relativo». In questa oscillazione si inserisce il fenomeno più insidioso: l’indifferenza, che agisce come un tarlo invisibile, svuotando la memoria della sua forza etica e trasformando l’oblio da meccanismo vitale a strumento di rimozione collettiva.
Primo Levi ricordava che «meditare su ciò che è accaduto è dovere di tutti: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario» (Se questo è un uomo, 1947). Ma quando la conoscenza si spegne sotto il peso della distrazione e della mancanza di empatia, allora la memoria stessa rischia di ridursi a rituale svuotato.
La dialettica tra memoria e oblio
Nietzsche, nella Seconda inattuale. Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874), sosteneva che «l’uomo che non è capace di dimenticare non è capace di vivere». L’oblio, dunque, appare come condizione necessaria per alleggerire il peso dell’esistenza. Tuttavia, la modernità ci ha insegnato che esiste anche un oblio indotto, funzionale a cancellare esperienze traumatiche e responsabilità politiche che ne deriverebbero.
Halbwachs, con la teoria della mémoire collective, chiariva che «i ricordi individuali si sostengono solo entro i quadri sociali che li custodiscono». Se quei quadri si indeboliscono – scuole, famiglie, istituzioni culturali – i ricordi si frammentano, e l’oblio diventa terreno fertile per nuove narrazioni manipolatorie. Pierre Nora lo evidenziava con forza: «Laddove non c’è più memoria viva, restano i luoghi della memoria» (Les lieux de mémoire, 1984-92). Ma se i luoghi si trasformano in pura monumentalità senza partecipazione, essi cessano di essere memoria e diventano simulacro.
Questa dinamica si ripete oggi nello spazio pubblico globale, dove la memoria dei conflitti e delle tragedie viene spesso ridotta a momenti rituali o a cerimonie che, anziché rinnovare la coscienza, rischiano di anestetizzarla. La guerra in Ucraina e il conflitto israelo-palestinese, ad esempio, mostrano come la memoria del dolore civile e delle vittime si scontri con la volatilità dell’attenzione mediatica, pronta a dimenticare per lasciare spazio al “nuovo” dramma e l’inapplicabilità pur vigente del diritto internazionale.
L’indifferenza come tarlo della memoria
Elie Wiesel, sopravvissuto alla Shoah, affermava con radicale chiarezza: «Il contrario dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza» (Discorso al Congresso USA, 1999). Questo paradosso rivela l’essenza corrosiva dell’indifferenza: essa non si oppone frontalmente alla memoria, ma la sminuisce dall’interno.
Jorge Semprún, riflettendo sull’esperienza dei campi in L’écriture ou la vie (1994), denunciava la tentazione di non ricordare per sopravvivere, ma avvertiva che «l’indifferenza è peggio della menzogna: la menzogna provoca, l’indifferenza cancella». Tzvetan Todorov, in Les abus de la mémoire (1995), ha messo in guardia contro l’uso selettivo e manipolatorio del ricordo: «L’oblio può essere necessario, ma l’indifferenza è sempre una colpa».
Sul piano sociale, Umberto Eco spiegava: «Non sono i fanatici a far rinascere i totalitarismi, ma gli indifferenti che non vedono il pericolo» (Migrazioni e intolleranza, 2000). L’indifferenza diventa dunque un vero e proprio dispositivo politico: anestetizza la coscienza, neutralizza la memoria e apre la strada al ritorno delle barbarie.
Le tragedie dei migranti nel Mediterraneo e lungo le rotte balcaniche ne sono un esempio emblematico. La memoria delle vite perdute in mare viene continuamente sovrastata da nuove emergenze, mentre l’indifferenza dei governi e delle opinioni pubbliche trasforma il dolore in statistica. Come già Hannah Arendt osservava a proposito degli apolidi del Novecento: «Non avere diritti significa non appartenere a nessuna comunità» (Le origini del totalitarismo, 1951). È l’indifferenza collettiva a perpetuare oggi questa condizione.
Letteratura e memoria: contro l’oblio e l’indifferenza
La letteratura non è mai solo un atto estetico: è uno strumento di resistenza al silenzio. Walter Benjamin scriveva: «Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “come realmente è stato”, ma impossessarsene come immagine che lampeggia nell’istante del pericolo» (Sul concetto di storia, 1940).
Primo Levi, con Se questo è un uomo, non solo ha testimoniato l’orrore, ma ha reso impossibile l’indifferenza: «Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case… considerate se questo è un uomo». Allo stesso modo, Romain Gary, in La vita davanti a sé (1975), ha mostrato come la memoria dei singoli si intrecci con la fragilità sociale: la dignità umana può sopravvivere solo laddove qualcuno la custodisce nel ricordo.
Anche la letteratura contemporanea, nel raccontare le guerre e le migrazioni, cerca di sottrarre all’oblio e all’indifferenza ciò che i media dimenticano. Le narrazioni di autori come Valerio Magrelli (Geologia di un padre, 2013) o Emmanuel Carrère (V13, 2022) mostrano che la scrittura può dare voce alle memorie individuali e collettive che rischiano altrimenti di perdersi.
Quali considerazioni?
Memoria e oblio sono due facce della stessa medaglia: l’una necessaria per dare senso al presente, l’altro indispensabile per alleggerirne il peso. Ma l’indifferenza è un’altra attitudine: essa non seleziona, non interpreta, non custodisce. L’indifferenza distrugge.
Come scrive Milan Kundera ne Il libro del riso e dell’oblio (1979): «Il potere non è altro che la lotta della memoria contro l’oblio». Possiamo aggiungere che il potere etico di una comunità si misura nella capacità di resistere all’indifferenza: perché è in quel silenzio che la memoria perde la sua voce e l’oblio diventa cancellazione, non più sollievo.
Contrastare l’indifferenza significa dunque dare carne e sangue ai ricordi, trasformarli in coscienza vigile, affinché la collettività non cada preda della ripetizione del male. Ed è proprio l’attualità geopolitica – dai conflitti armati ai migranti invisibili, fino alla crisi climatica – a ricordarci che il dovere della memoria non è un atto rituale, ma una responsabilità concreta e fondamentale verso il presente e il futuro.