Sulla strada che ci porterà dritti agli Academy Awards 2024, il Festival di Venezia era probabilmente la più autorevole tra le rassegne cinematografiche ancora da archiviare: è lecito, dunque, incoronare Yorgos Lanthimos come grande favorito per i prossimi Oscar?
Già, perché il regista venuto da Atene non ha fatto prigionieri in un’edizione in cui sono caduti grandi maestri come Roman Polanski (stroncato prima dai contestatori e poi dalla critica) e giovani pupilli di Hollywood come Bradley Cooper (il suo Maestro, cronaca della vita di un gigante come Leonard Bernstein, è stato definito al più come un compitino), raggiungendo con questo Povere Creature! quello che ha tutta l’aria di essere il gradino più alto della sua esperienza da filmaker, che pure in passato non gli ha certo negato le sue belle soddisfazioni. Forte già di tre candidature agli Oscar (una per Lobster e due per il suo precedente lavoro, La Favorita), la nuova stella polare degli amanti del grottesco potrebbe aver indovinato stavolta la formula per compiere quell’ultimo salto in alto che ancora mancava per affermarsi non più come candidato autorevole, ma come strafavorito alla vittoria finale.
A Povere Creature!, sulla carta, non manca davvero nulla: c’è quella voglia di personaggi freak e borderline che da sempre scorre nelle vene del cinema di Lanthimos, c’è il capovolgimento al femminile di una figura iconica della letteratura della carta stampata e della pellicola, c’è una Emma Stone in stato di grazia che già in occasione de La Favorita diede prova di un’intesa tra regista e attrice che mette letteralmente sotto steroidi il talento di entrambi, c’è l’intento di spiegare
femminismo e patriarcato in maniera completamente anti-glamour (possiamo dire anti-Barbie?) che proprio come nel film di Greta Gerwig è affidata a un personaggio per forza di cose infantile e privo delle sovrastrutture che un adulto medio ha ormai interiorizzato, ma stavolta senza l’obbiettivo di compiere sacrifici all’altare della cultura pop e del tormentone social, croce e delizia di quel devastante esempio di pink-washing che è stato il fenomeno targato Mattel.
Last but not least, Lanthimos potrebbe, con un po’ di fortuna, non dover avere a che fare con una concorrenza spietata come quella con cui dovette fare i conti in passato: se nel 2017, anno di The Lobster, concorrevano per la Miglior sceneggiatura originale l’acclamatissimo Manchester by the Sea e il mai troppo osannato La La Land e nel 2019, anno de La Favorita, lavori come il vincitore Green Book, Roma e Vice – L’Uomo nell’Ombra sembravano godere di una marcia in più per il titolo di Miglior film, quest’anno, al momento in cui vi scriviamo, il solo Oppenheimer sembra avere la forza artistica e mediatica necessaria a contrastare il potenziale tsunami Lanthimos. Che sia dunque l’anno buono per il nostro Yorgos? Appuntamento al prossimo marzo.