Venerdì 16 dicembre, alle ore 19:00, sarà inaugurata la mostra AFRICAN CONTEPORARY ART. Miti, simboli e altri segni con opere provenienti dalla collezione di Mino Sorvillo.
L’esposizione, la prima in ambito campano e meridionale, presenta un’ampia selezione di dipinti e sculture realizzate da artisti contemporanei africani, appartenenti alla generazione che ha operato nel corso della seconda metà del XX secolo e primi del Duemila.
Curata dal prof. Massimo Bignardi, direttore del Museo-FRaC Baronissi, la mostra propone cinquantaquattro opere, disegnando un percorso che si snoda su due tracce parallele: da un lato le opere di artisti contemporanei, dall’altro gli oggetti, gli idoli, le maschere provenienti dalla stessa collezione che tessono una sorta di trama comune, di dialogo tra il mondo dei miti, dei simboli posti a contatto con i segni della contemporaneità.
In mostra le opere di: Mandu Mmatambwe Adeusi (1914-1984), Edward Saidi Tingatinga (1932-1972), Kasper Henrik Tedo (1921), Simon George Mpata (1942-1984),Omari Amonde (noto come JaJamonde 1940), Pierre Camille BODO (1953), Paulo Kapela (1947-2000), Jak Katarikawe (1940), George Lilanga (1934-2005), Esther Mahlangu (1936), Kivuthi Mbuno (1947), Hashim MRuta (1942), Cyprien Tokoudagba (1939-2012), Mohamed Charinda (1947-2021) e Twin Seven Seven (1944-2011). Si affiancano, in alcuni casi anche come continuità stilistica, figure di artisti più giovani, quali Cheri Samba (1956), Stephen Kasumba (1960), Roumauld Hazoumé (1962), Maurus Michael Malikita (1967), Meek Gichugu (1969) e Didier Ahadsi (1970).
“Nei vent’anni di attività il FRaC Baronissi – evidenzia il sindaco Gianfranco Valiante nella presentazione al catalogo – grazie alla sensibilità degli artisti che hanno donato le opere, ha realizzato una delle collezioni più importanti dell’area meridionale, con oltre ottocento tra dipinti, disegni, sculture, grafiche e ceramiche. A tale significativo lavoro di progettazione di eventi e di realizzazione espositiva va ad aggiungersi la grande mostra dedicata all’arte contemporanea africana, resa possibile grazie alla disponibilità di Mino Sorvillo, tra i maggiori collezionisti europei della vecchia e nuova arte del continente africano. Una mostra importante che certamente proietta Baronissi, il Museo-FRaC in una prospettiva d’interesse nazionale: cinquantaquattro le opere in mostra tra maschere, oggetti di rituali magici legati al ciclo della fertilità, realizzati tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso. Ad essi si affiancano, in un dialogo di continuità e di frattura, le tele, le sculture i dipinti dei giovani artisti africani, che vivono o sono originari della parte centrale dell’Africa ed hanno operato o operano dagli anni Quaranta ad oggi. Una mostra, quindi, impaginata come un canovaccio per istruire un nuovo e diverso colloquio con realtà che oggi conosciamo solo attraverso l’immagine spesso deviante, legata al tema degli ‘immigrati’”.
“Quando è iniziato il mio interesse per l’arte africana – dichiara Mino Sorvillo –, dapprima quella contemporanea e poi per gli oggetti, in particolare maschere rituali, statue, idoli, resistenti tracce della cultura primigenia. Dapprima la lettura, il fascino di libri che riportano di una realtà in continua lievitazione: libri come quello dedicato alle fotografie realizzate dal dottor Émile Muller, tra il 1923 e il 1938; di Marc Augé e delle sue esperienze nel Mali, solo per fare qualche esempio. Poi la frequentazioni delle gallerie parigine, le aste e, infine, l’impatto della rete, le proposte sul web e l’incontro con grandi collezionisti, dai quali ho acquistato opere di grande interesse”.
“Il dubbio mi ha accompagnato in questi ultimi anni – scrive Bignardi nelle prime pagine del suo saggio in catalogo –, quando con Mino Sorvillo abbiamo tracciato le linee di una esposizione che tenesse insieme i molteplici aspetti della sua collezione di dipinti e sculture di artisti contemporanei africani, unitamente al vasto repertorio di oggetti, maschere, feticci dell’Africa subsahariana. Una collezione vasta, in particolare di quelle opere che, solitamente, nelle aste sono indicate come oggetti d’antiquariato, accogliendo datazioni che vanno dalla fine del XIX alla metà del XX secolo. Degli artisti contemporanei, nell’accezione di un contemporaneo che va dal secondo dopoguerra alla fine del secolo e, quindi, non di una stringente attualità, abbiamo volutamente insistito sui maestri, i primi comparsi sulla scena internazionale e acquisiti da istituzioni museali di significativo rilievo. Tra questi: il Museo Nazionale dell’Arte Africana, Smithsonian; il Museo di Houston; la celebre collezione Jean Pigozzia Fondazione Gulbenkian. Il dubbio era, in parte persiste, se il nostro punto di vista non fosse abbastanza chiaro, cioè fosse opportuno tenere fuori le ultimissime generazioni, quelle formatesi, soprattutto, nelle grandi capitali dell’arte attuale, New York, Londra e in parte Parigi. […] Il nostro desiderio era ed è quello di tenere insieme, anche misurando arbitrarie vicinanze, linguaggi estetici formali che dalla tradizione rituale, ovvero dal repertorio di oggetti, di maschere, di feticci, presi dal mondo magico, dal simbolico, fossero transitati nell’immaginario creativo di tanti artisti che, dagli anni Quaranta, hanno dato vita a una nuova stagione dell’arte africana.
La necessità, in primis, era di sfuggire alle mode che ora imperversano nel mercato dell’arte contemporanea con i fari puntati su esperienze creative, grandi dipinti, fotografie manipolate al digitale, sculture e installazioni, che palesano una formazione culturale di matrice occidentale di estrema attualità, e attrattive del nuovo collezionismo. Certamente, questo non è da tenere in secondo piano, anzi ci offre un quadro aggiornato di quanto i processi della globalizzazione abbiamo segnato e segnano la sfera della creatività”.
La mostra resterà aperta fino a domenica 25 febbraio 2024.